venerdì 20 novembre 2009

Piazza Udine


Era un marciapiede che sorreggeva i suoi passi da 25 anni a questa parte. Nelle mattine nebbiose d’autunno, nelle sere calde d’estate, con la pioggia e con la neve. Era la sua porta d’ingresso verso la routine ogni mattina, era la strada del ritorno a casa di sera, quando tornava dalla sua famiglia.

Mario era soltanto un uomo, in mezzo ad altri uomini. Altri uomini diversi da lui. Loro erano silenziosi, chiusi nei loro giubbotti, maleducati e scontrosi. Quel tipo di uomini che se passando ti danno una spallata, non chiedono neanche scusa.

Ogni mattina ed ogni sera, su quel marciapiede, Mario si sentiva solo. Solo in mezzo a quella marea di gente. E’ difficile sentirsi soli a Milano. C’è sempre un passante, un commerciante che chiude la serranda, il thailandese all’angolo che vende occhiali da sole, una signora in macchina che fa suonare inutilmente il suo clacson.

Lui cavalcava il suo marciapiede, conoscendo a memoria ogni vetrina: “Il panettiere, il fiorista, la pasticceria, l’ufficio legale…”. Bastava un sottile soffio dei pensieri per fargli interrompere quella conta e cambiare l’immagine nella sua mente. E mentre si faceva largo tra manager che parlavano di affari inutili, senegalesi che vendevano cd, mentre si faceva largo tra facce che si fanno brutte e pugni stretti nelle tasche, lui ripassava ancora a memoria la sua trafila di pensieri.

Una mattina come le altre, con la nebbia sulla strada e nei pensieri, Mario faceva la sua solita strada e contava a memoria “Il panettiere, il fiorista, la pasticceria, l’ufficio legale…”. Proprio lì, davanti alla portineria dell’ufficio legale gli si fa incontro un anziano signore, avvolto in una sciarpa marrone e con un cappello che gli stava scivolando goffamente dietro la nuca. Mario si apprestava a schivarlo come aveva ormai imparato a fare con milioni di altri passanti, quando notò che l’anziano lo stava fissando, quasi scrutando. Quegli occhi piccoli, incastonati nelle palpebre rugose, lo facevano sentire a disagio. Mario si fermò.

All’improvviso sul volto dell’anziano si dipinse un sorriso. Mario non capiva, ma quel sorriso migliorò il suo senso di imbarazzo, che si tramutò in curiosità. “Lei lo parla il dialetto milanese?” gli chiese l’anziano signore. “Ehm..sì..” rispose Mario incerto. Il sorriso del signore anziano si tramutò presto in entusiasmo e gli disse: “Non le porterò via molto del suo tempo, ma ascolti la poesia che voglio raccontarle”. Mario lo guardò divertito: “D’accordo”. L’anziano incominciò:

“I penser dun omm de mèsa età vann ai temp indre ai temp andà.
El prim penser che me vègn in ment lè Milàn de alter temp,
due ghera no tropp de scialà, ma ghera tanta umanità.

Se pensi adèss a sta città, che ha cambià facia, e manera de pensà.
Vedi la gent trapelada, semper de cursa e preocupada,
caminà in sul marciape sensa el temp de giras indre.

Mèi pensà a Milàn de alter temp, cun pocc dane e poca frenesia,
ma cun tantu coeur e tanta puesia.”*

L’anziano fece un inchino per congedarsi dal suo ascoltatore e se ne andò. Mario rimase serio, la poesia era triste ma era vera. Sorrise all’anziano che si allontanava e riprese la sua strada.

Quella mattina Mario si sentiva avvolto da una luce diversa. Sorrise a tutti: alla cassiera del bar, alla portinaia dell’ufficio, ai colleghi. Spesso ricambiato, spesso no, ma questo non importava. Il bello dei sorrisi sta nel farli. Il bello delle poesie sta nel raccontarle.

Co

[* Franco Pasqualini, I mè penser]

giovedì 5 novembre 2009

SCARPETTA E I FRATELLI MOCASSINI

Tutti conoscono la storia di Cenerentola e di come, aiutata dalla dea bendata, sia riuscita a trovare il suo principe azzurro.
In pochi conoscono le disavventure della povera e indifesa calzatura di Cenerentola, io l'ho ascoltata da una vecchia scarpa da ginnastica, incrociata in una lontana terra.
Questo è il suo racconto.
Anche questa, proprio come l'altra, inizia nello stesso modo.
C'era una volta ...
C'era una volta, in una lontana terra, un re buono e bravo, preoccupato di trovare una degna moglie, fra le figlie dei colleghi degli altri regni, a quel matto scapolo che era suo figlio.
Organizzò a palazzo un ballo, proprio come quello delle fiabe con tanto di orchestra, salone illuminato da splendenti e luccicanti lampadari di cristallo, scrupolosa e rigorosa selezione dei migliori vini, solo invitati appartenenti alle migliore caste dei nobili di tutti i regni, quella era la festa migliore di tutti i tempi.
La musica di archi e flauti si muoveva fluida fra il rosso dell'imbarazzo del principe causato dalle amorevoli attenzioni delle pretendenti e il verde degli occhi del padre, esaltato com'era nell'ascoltare la dote che ogni capofamiglia prometteva in sposa insieme alla figlia.
Tutto andava secondo i piani, poi l'inaspettato.
Fra gli invitati si era intrufolata una donzella, nobile di sangue e maltrattata dalla vita nel suo stesso castello.
Con lei c'era Scarpetta, appaiata sempre con quella che era la sua parte sinistra, insieme catturarono l'attenzione del principe.
Danzarono. Danzarono ancora. Danzarono al centro del salone fra gli occhi di tutti i presenti.
La musica ora dava il ritmo a Scarpetta e a sua sorella, loro ballavano incuranti di tutto, rapite com'erano dai tacchi dei fratelli Mocassini del principe. Fu colpo di fulmine, anche per loro.
Ma, ricordate come erano gli accordi fra la fata turchina e Cenerentola?
Venne la mezzanotte e le sorelle Scarpetta dovettero smettere di danzare e iniziare a correre verso la carrozza zuccata.
Scarpetta perse terreno rispetto alle sue compagne di fuga fino a cadere dalla corsa e addormentarsi esausta su un gradino.
Al suo risveglio si ritrovò in un grosso baule, circondata da un sacco di altri oggetti.
Aveva paura Scarpetta, specialmente di quel vecchio cilindro con una carta sistemata nella fascia che lo avvolgeva.
Non rimase molto tempo in quella che era diventata una prigione per lei, fortunatamente il baule venne aperto e, una volta alla luce del sole, riconobbe gli stessi Mocassini che avevano danzato con lei e sua sorella la sera prima.
Era più tranquilla Scarpetta e più ascoltava il piano del principe, più si rasserenava e l'idea di ritrovare la strada di casa prendeva vita e si trasformava in certezza.
Intrapresero un lungo viaggio, tutti cercavano qualcosa: il principe cercava la sua principessa, Scarpetta sua sorella e i fratelli Mocassini cercavano la forza per essere coraggiosi e pazienti, visto che il peso della missione era tutto sulle loro spalle.
Condivisero illusioni, delusioni, disgusto, speranza, freddo e caldo e tutti gli imprevisti che una missione così impegnativa porta con sè.
Avevavno perso ogni speranza, poi ...
Sapete come sono andate le cose d'ora in poi, Cenerentola ritrova il suo principe azzurro e Scarpetta sua sorella.
Appena tornati a palazzo, gli innamorati celebrarono subito le nozze e Cenerentola venne accolta come una figlia nel castello del re .
Le sorelle Scarpetta sposarono i fratelli Mocassini, misero su famiglia e i loro figli Sandali cominciarono a correre liberi per i giardini del castello ai piedi di quel piccolo erede, che appena nato divenne subito cocco del re nonno e vissero tutti felici e contenti.

Fine.

Bob

giovedì 29 ottobre 2009

8.30 DI MATTINA


Devono essere le otto e mezzo di mattina e, se non mi sbaglio, oggi è martedì.
Si, martedì, due giorni fa erano le undici, ieri le otto e mezzo, oggi le otto e mezzo, non essendo stato informato sul cambiamento dei giorni della settimana, posso dire con certezza che oggi è martedì.
Detesto il primo sguardo che mi lancia appena mi vede.
Anche ieri sera, lunedì secondo i miei calcoli, ha fatto le ore piccole.
Mi guarda fisso per qualche secondo, poi si mette a trafficare nelle mie vicinanze e torna ai suoi sogni.
Lui finge di cadere in un sonno pesante, ma so che il suo orecchio rimane teso verso la realtà storica che gli appartiene.
Alcune volte, tira fuori un coraggio da leoni nel gettarsi a capofitto sul gregge di pecore anche dopo le otto e mezzo e, dopo aver contato i cadaveri degli ovini, si ritrova a giustificare i ritardi ai nostri appuntamenti.
Io, a differenza sua, sono stata addestrata a non avvicinarmi troppo alle pecore che passano nelle mie vicinanze dopo le otto e mezzo di mattina e così continuo a sentire il gallo che canta dai miei altoparlanti.
Avete presente quanto possa essere stressante?!
Lui si sveglia, mi ripunta e si riaddormenta. Io, Sveglia!
Una cosa mi rincuora però, sapere di essere scagionata da ogni sua accusa nelle cause contro i suoi ritardi.
Lui dichiara sempre di non aver sentito suonare la sveglia, ma in realtà sono io che, ogni tanto, comincio a contare le pecore e proprio come lui mi riaddormento.
Bob e R.

martedì 27 ottobre 2009

TANTI CARI SALUTI

“E adesso, questo qui, da me, cosa vorrà?
Fidatevi, cari signori, che luccicla mia razza, quando vi guarda dal sotto in su, con questi nostri occhi luccianti di affetto e fiducia, vuole qualcosa da voi. Qualcosa di ben preciso. Una risposta, cazzo.
Cosa credete? Che solo perché non abbiamo avuto dono della parola non proviamo emozioni, noi? Sentimenti? Che per noi essere al servizio di Berlusconi o dell’ultimo dei vice- aiuto – pulitore di cessi, sia la stessa cosa? Non proviamo empatia, nei confronti dei nostri padroni?! Quando loro sono senza soldi, anche noi siamo senza soldi. Anche noi dobbiamo mangiare! Non ce l’abbiamo forse anche noi, dio santo, un’anima?!
Sì, ce l’abbiamo, cari miei. E vi amiamo. Nel nostro modo silenzioso, discreto. Vi guardiamo dal basso, seduti composti, aspettando una carezza, un regalino.
E adesso, dov’è il mio VERO padrone?! Dio solo sa quanto l’amo.. E questo qui chi è? Come mi tratterà? Il mio padrone sì, che ci sapeva fare con me.. a me piace essere coccolato.. accarezzato di continuo, e come adoravo quel suo tipico senso di ansia, che indovinavo nel suo sguardo quando mi piantava gli occhi addosso, tanto penetrante che sembrava voler esplorare a fondo gli scompartimenti e le pieghe del mio più profondo io.
Mi piaceva quando mi procuravo qualche graffio, e che male, quando capita, perchè passava i polpastrelli lungo le mie cicatrici, notavo il suo dispiacere per il mio dolore. E sentire il contatto caldo dei suoi polpastrelli sulla mia pelle nuda mi regalava sempre un brivido caldo di sicurezza e fiducia.
E adesso questo qui. Mi ha trovato, ero perso, e ora dipendo da lui.
Ma ce l’avevano detto, all’Accademia: un padrone non è mai per sempre. Si invecchia, purtroppo. E anche se il nostro padrone ci ama, alla fine qualche suo parente alla moda gli regala quello che ci sostituirà. E alla fine lui sceglierà l’altro, e noi varremo meno di zero. Oppure ci perdiamo di vista, lo perdiamo, o ci perde lui. Un attimo di distrazione e.. zac! Andato, perso. E anche se ci cerca dappertutto, non è detto – anzi, quasi mai è detto, che ci trovi. Manifesti per strada, stazioni di polizia, spesso è tutto inutile. Il mio padrone mi starà cercando adesso. Ma io lo so che non mi troverà, adesso sono nelle mani di quest’altro tizio, adesso sono suo.
Chissà come sono le mani di questo nuovo padrone. Chissà com’è il suo conto in banca. Io ormai ho i miei anni, le mie cicatrici..
E poi? Che si aspetta che faccia? Che gli regali centinaia di euro? Un bancomat con allegato il codice per il prelievo? Ah! Avrà una magra sorpresa, signor mio! Solo una carta d’identità ingiallita posso dargli. La vuole un’altra identità? Anche se non è granchè in realtà. Ma io l’amo, quell’identità. Anche con la crisi che c’è in giro.. anche se avevo la pancia sempre vuota, ero orgoglioso di stare attaccato ai pantaloni del mio padrone. Ok, è uno spiantato. Non vedevo mai una banconota. Ma le sue tasche calde, d’inverno mi facevano comodo. Riportatemi da lui!
Si dice che quando si sta male bisogna pensare a chi è meno fortunato. Per risollevarsi il morale, credo. Voglio, perciò, raccontarvi un episodio, a cui ripenso quando sono giù.
All’Accademia, impariamo a essere in gamba, come servire l’uomo, la donna, o i bambini: ci si specializza in un ramo specifico, siamo nel ventunesimo secolo, bisogna essere preparati. Però, può sempre capitare qualche sorpresa, come al mio amico Paco. Lui, nato, fatto e finito per servire una donna, lui, donnaiolo professionista. VAl negozio, invece, lo scelse un uomo. Vestito bene, con una camminata creativa e uno strano modo di muovere le mani. Paco non si è opposto al suo nuovo padrone, sembrava ricco, ecchediavolo. Adesso, però, Paco è tutto un tintinnare di ninnoli, treccine colorate, e non è molto contento. Povero Paco. Ogni portafogli ha la sua dignità. Ma all’Accademia ce l’avevano spiegato per bene questa cosa. Si chiama flessibilità.

Paradiso

giovedì 22 ottobre 2009

COME QUANDO FUORI PIOVE





Forse non dovresti essere qui ora.
Forse ci sono fatti che si stanno svolgendo e che non aspettano altro di avere te fra le loro azioni, se consideri la vita come un film, o fra gli atti se è il teatro a personificarti.
Forse delle persone ti stanno aspettando e si chiedono cosa ti trattenga dal raggiungerle, potrebbero preoccuparsi o essere sollevate dal tuo tardare, queste ultime, in realtà, forse, sono anche speranzose nel fatto che tu non arrivi a destinazione.
Forse, ora che sei arrivato qui con la lettura, sta passando la tua occasione proprio sotto casa.
Non sentirti al sicuro tu che hai la tecnologia per leggere ovunque tu voglia, sei comunque distratto, la tua attenzione è su di uno schermo, e alza gli occhi, quella è la tua chance che se ne sta andando.
Forse vorresti almeno leggere di una storia avvincente che ti porti in un solo respiro alla fine del testo, in modo da poter rincorrere quella occasione che ormai ha svoltato l’angolo, che vuoi farci, è così che deve andare.
Forse vorresti trovare fra queste righe dei personaggi da immaginare, ma oggi è grigio il cielo.
Non centrano lo smog e l inquinamento in generale, oggi è uno di quei giorni in cui l azzurro non ha altro che un impermeabile grigio da indossare.
Sa che le nuvole non tarderanno a far piovere, lui si è vestito e ora è pronto a farsi scivolare, fra le pieghe del suo abito plumbeo, le gocce di pioggia che arriveranno stanche sul cammino di quella occasione che ti dicevo prima, proprio quella che ti ho costretto a mancare per poco.
Forse, il cielo ci protegge da un acquazzone!
O ci nasconde uno splendido e raggiante sole?
Non lo so, tu hai qualche idea?
Io non ho avuto altro balenamento che trascorrere il tempo scrivendo dei forse che, probabilmente, hanno dato una risposta a quel senso di fumosa certezza che si prova in questi giorni, dove il cielo deve sbrigare i suoi affari e tu lo vedi passare vestito del suo impermeabile grigio.
Bob

giovedì 15 ottobre 2009

L'ISPIRAZIONE


Vi ho sfinito. Ce l ho fatta!
Non vedete come vi ho ridotto nel tempo, avanti anche un bambino capirebbe che siete quasi allo stremo delle forze.
Tu, vecchia scrittrice, non hai più forze. Sei esile, scippata dalla tua linfa vitale intenta a scrivere quella storia che forse leggeranno o che forse scarteranno. Probabilmente non hai nemmeno in mente dove ti porterò e a quali conclusioni trarrai prima dell’ ultimo punto sull’ ultimo foglio.
A proposito, un pezzo di carta straccia buono solo a far da tovaglia in una dozzinale paninoteca. Proprio su di essa avete deciso di esaurire le vostre ultime cartucce.
Sapete benissimo che io sono ancora qui, vi sto parlando e vi sto ispirando la vostra prossima fine.
Anche tu penna, hai finito di scrivere. Il tuo inchiostro è all’ultima goccia.
Spera di farti trascinare pesantemente dalla mano della tua compagna fino al punto in cui dovrei condurvi, sarebbe un dispiacere perdervi proprio ora.

Bob e SincroStyle

domenica 11 ottobre 2009

CIAO NANDA!

Questo Paese va perdendo tutte le sue migliori personalità, culturalmente parlando.
Le sta perdendo tutte, una per una, e non sembra per nulla interessato a garantire “un ricambio”.
Anche se un po’ tardivo, il ricordo mi sembra comunque doveroso.
Quest’estate, il 18 agosto, l’Italia ha perso anche Fernanda Pivano. Un nome che forse non dirà niente ai più, ma sappiate che è grazie a lei se in Italia sono arrivati i testi di autori come Hemingway, Kerouac, Corso, Ginsber, Lee Masters. Ha importato la Beat Generation.
E’ stata lei a tradurre quei testi dall’inglese all’italiano, in un periodo in cui quei testi in Italia erano proibiti.
Giornalista, scrittrice, traduttrice, critico musicale. Riferimento culturale per tutta una generazione.
Dalla sua traduzione della “Spoon River Anthology” Fabrizio De Andrè ha tratto il disco “Non al denaro, non all’amore né al cielo”.
Nel giorno della sua morte, sul suo sito ufficiale, appare una sua frase molto significativa di come Nanda abbia deciso di vivere la sua vita:
Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perchè ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue.

http://www.libri-universitari.it/autori/fernandapivano.jpg

“…e con la vita avrebbe ancora giocato…”

Co

domenica 4 ottobre 2009

RIEMERGO

Riemergo, e sono in un angolo nella sala riscaldata, con la tempia appoggiata al freddo del vetro alla mia sinistra. Al tavolo davanti al mio, due signori discutono su quanto zucchero versare nei loro espresso, mentre mangiano aringhe affumicate attraverso i lunghi baffi. È mattina presto, con l’aria assonnata, famiglie affaccendate tra i tavoli del bar, adattano al menu offerto le proprie abitudini in fatto di colazione.
Sono seduto con la mia tazza di caffè in mano. Scotta a tal punto che devo appoggiarla sulla breve mensola dell’enorme finestrino della nave. La borsa di eco-pelle verde, appoggiata sul tessuto blu della poltrona accanto alla mia, crea un interessante miscuglio cromatico che sa di mare. Penso che più si sale verso nord, più la gente è convinta che ciò che non è sul punto di bollire, è quasi freddo.
Guardo fuori continuamente: mi sforzo di trovare, a pochi metri da me, qualche increspatura sulle piccole onde, testimonianza di un acquatico sociale che voglia giocare con noi, seguire la scia che lasciamo. La voglia di caffè e soprattutto la necessità di caffeina mi spingono a controllare ancora la temperatura della tazza di plastica: decisamente troppo caldo ancora, e che palle..
Allora mi tuffo, attraverso il finestrino, vestito come sono, a tutta velocità come un razzo, spezzando in due la superficie dell’acqua, interrompendo il moto perpetuo delle onde.
Voci ovattate da su mi ricordano che sono uomo e non pesce, forse qualcuno sta urlando: “uomo in mare!”, come nei film, ma in una lingua che non conosco. Oppure la distanza è già troppa, e le parole semplicemente mi suonano indistinguibili. Come l’immagine della prima automobile davanti a me, quando, immerso nella nebbia densa come latte, torno a casa, la sera.
Man mano che scendo, il mio mondo fluido diventa più scuro e cambia tonalità, dal blu al verde, ma i contorni delle cose si snebbiano e si stabilizzano, mentre i miei occhi si abituano all’oscurità e il respiro si fa regolare e calmo.
Zitto zitto, nascondendomi da quelli più grossi, piano piano mi avvicino ai pesci più piccoli. Colorati di giallo e rosso, nuotano a stretto contatto fisico tra loro, in questi branchi enormi. È una immensa parete colorata in movimento e io non riesco a pensare a nient’altro. Entro nella parete e faccio numero, nuoto con loro. Come se fossi un altro di questi minuscoli pesci fantastici, ma appena più goffo e lento.
Vedo me stesso per come sono e mi guardo dall’esterno. Suono per me una canzone, nella mia testa, non una melodia nota, ma mia, e per me, adesso e ora. Una cosa tipo pink floyd o lamb, tranquilla e a tratti soffice, ma con un agrodolce dato da un poco di elettronica, e sotto un lungo brano appena psichedelico che ritorna, ciclico.
Ma prima di dimenticarmi devo prenderla.
Cerco a tentoni nella borsa, e afferro ciò che cerco. Ho gli occhi chiusi, ma immagino che la mia piccola pillola rossa starebbe proprio bene in mezzo ai pesciolini. Cromaticamente parlando, s’intende.
Per mandarla giù bevo un sorso dalla tazza, adesso sono tranquillo. Ma mi brucio la lingua e le mie branchie ritornano polmoni.

Paradiso

mercoledì 16 settembre 2009

UN GANGSTER AL BANCONE

Mi chiedi di credere nelle sfumature di questo mondo e io a sto giro, magari, voglio ascoltarti. Però. Prima che tu inizi a narrarmi quali sventure hanno azzannato e rimpolpato allo stesso tempo il tuo passato, portandoti nel momento in cui me lo stai per raccontare. Prima che tu inizi a renderti conto di star ripetendo, per l’ennesima volta, la storia della tua vita, in modo meccanico. Prima che ti renda conto che solo gli accadimenti del passato recente sono quelli ancora in fase di revisione e che, quindi, hanno bisogno di avere un riscontro con un pubblico esterno, conosciuto o sconosciuto. So che ti affascina farti ospitare nell’auditorio di uno straniero e sai come farti apprezzare in quelli di chi già ti ha ascoltato. Comunque. Prima che tu scelga la frase con cui iniziare, pescandola dall’urna delle frasi fatte: “Sai … Una volta … Mi è successo che … Capita sai.” Prima che tu prenda respiro ed inizi a sillabare la prima parola di una di quelle frasi che ti dicevo prima. Prima che io cominciassi a dire prima. Prima guardati attorno. È vuoto. Stanca e nervosa l’ unica persona che, oltre a me, incrocia il tuo teso ad esplodere animo. Prima che tu ti senta parte del popolo della notte. Rispondi alla mia domanda: Hai con te un orologio? Franck porta sempre con sé un orologio. Lui è sempre puntuale sul posto di lavoro. Io non lo porto. Abito nell’appartamento qua sopra. Quindi. Prima che io chieda a Franck di dirmi l’ora e lui mi risponda che si sono fatte le quattro di mattina. Esci dal mio locale. Non vedi!? Non c’è più nessuno ormai da due ore, oltre a te, a me e al cameriere. Franck, il cameriere, aspetta solo un mio cenno per buttarti fuori. Diventa nervoso quando ci sono i tira tardi sbronzo-menosi, specialmente se è stanco. Sai, se tu fossi un tira tardi sbronzo divertente sarebbe diverso. Tu ci offriresti da bere e intanto racconteresti qualche tua disavventura. Franck, forse, si sbottonerebbe e ti racconterebbe di quanto sono stati duri quegli anni in galera. Sicuramente, chiuderesti con noi il locale e, magari, se ti giocassi bene le tue carte, ci scapperebbe anche un proseguo della serata. Ma. Tu sei un tira tardi sbronzo-menoso e quindi nessuno ha voglia di starti a sentire. Né io, né Franck. Ne ho visti tanti che come te iniziavano con un “Sai … Una volta … Mi è successo che …”per poi finire in lacrime ubriachi marci al mio bancone, dopo due ore di ricordi intervallati da singhiozzi. Ci sono le sere in cui abbiamo voglia di ascoltare, ma, come ti dicevo prima, il mio cameriere è stanco e s’ innervosisce facilmente con gli sbronzi-menosi. Ti stai chiedendo qual' è la morale di questa storia? Finisci il tuo drink e alzati,questa è la morale. Non dimenticando di lasciare una bella mancia a Franck … prima che decida di prenderti a calci fuori dal mio locale.

Bob

domenica 2 agosto 2009

Non rompere il jazz ...


Pensate a quante parole entrano nelle vostre orecchie.
Verbi,nomi,apposizioni,avversativi …
Vorrei focalizzare la mia attenzione e solleticare la vostra su quelle che “entrano da un orecchio ed esco dall’altro”.
Riflettevo l’altro giorno sul viaggio che queste percorrono e cosa incontrano nel loro tragitto.
Considerando il corpo umano una macchina perfetta, sono giunto alla conclusione che vi sia una sorta di autostrada collegante un orecchio all’altro riservata esclusivamente alla loro circolazione.
Due corsie di percorrenza: una per quelle che entrano a sinistra ed escono a destra e una per la direzione opposta.
Viene considerato un viaggio già affrontato, una cosa che ti scivola addosso, quello di queste parole.
Pensate però, se ci fossero delle complicazioni, che ne so, un avaria al sistema dei freni o un surriscaldamento della testata del motore, i verbi dovrebbero accostare e controllare il problema.

Ecco perché sono state posizionate due vie di fuga sul nostro volto, per prevenire ed evitare spiacevoli inconvenienti di qualunque tipo.
Anche i meno attenti alla lettura avranno capito che sto parlando del naso e della bocca.
Vediamo quali sono le nostre reazioni in base alla sosta scelta dalle parole.
Se si fermassero alla prima uscita che ho citato, esse provocherebbero uno sbuffo dal naso davanti all’ interlocutore, una sciocchezza, giusto pochi minuti dal meccanico e via. Ne abbiamo ancora di chilometri da fare prima di fondere del tutto.
Pensate però, se queste parole facessero saltare totalmente i pistoni del vostro motore.
L’uscita consigliata è quella della bocca, un semplice sbuffare non è sufficiente a riparare il danno.
Quindi, che faccia farebbe l interlocutore se dalla vostra bocca uscisse un sonoro flusso di parole, rispondenti al coro: “ non devi rompere il jazz!!!”, ed entrasse nelle sue di orecchie, quale sarebbe la sua reazione?
A voi è capitato?
La teoria recita: “ da quel momento in poi non esisteranno più parole che “entrano ed escono dalle orecchie”, ma solo silenzio per chi parlava e sfogo per chi ascoltava”.
Teoria logica che non fa una piega, quando si rompe il motore … si rompe il motore.
Nonostante ciò, esistono al mondo alcuni interlocutori che considerano la frase “non devi rompere il jazz!!!” solo un gruppo di parole che entrano da un orecchio ed escono dall’altro e vanno avanti a parlare.
Diffidate di queste persone , ma soprattutto non prestate orecchio a loro, non ve lo ridaranno più.

Bob

venerdì 10 luglio 2009

Il teatro degli attori

Non c’è…

Non c’è alcun…

Non c’è alcun legame tra me e loro. Io sono solo il mezzo. Io non sono nessuno. Là fuori difficilmente si ricorderanno di me. Si ricorderanno molto più facilmente di loro. Il loro è un nome che si ricorda: Otello, Don Giovanni, Amleto…
Il mio nome lo si leggerà solo sulle locandine. Il loro viene ripetuto per tutto lo spettacolo.

Io sono uno strumento. Salirò sul palco per la sessantacinquesima replica dello spettacolo. Sessantaquattro prima di questa, chissà quante dopo. Il mio corpo si muoverà, reciterà, parlerà con quei gesti ripetuti allo sfinimento, fino a diventare automatici.

La mia mente sarà altrove e non opporrà alcuna resistenza. Lascerà che il personaggio arrivi dal lontano immaginario dell’autore, scorra attraverso di me e arrivi inesorabile fino in platea. Come un torrente di poca acqua fredda. Anche questa volta, ancora un’altra volta.

Perché è questo che la platea vuole. Non interessa sapere cosa pensi io sul suicidio, ma vogliono sentirmi declamare “Essere o non essere…”. Non interessa sapere che non sarei tanto stupido da credere a Iago e che gli farei volentieri un culo così, invece di uccidere Desdemona. No.

Io devo uccidere Desdemona.

E’ questa l’unica cosa che conta per loro. E così lascio che sia, perché non ho il potere di fare altrimenti. Tutte le sere, una Desdemona muore sul palco.
Loro arrivano, passano attraverso di me, mi devastano dentro e se ne vanno.
Sipario.

Un momento…cos’è questo rumore? Cosa succede là fuori? Ma questi sono…applausi!
Il sipario si riapre e in platea ci sono le luci. Guardano me e mi applaudono. Ce l’ho fatta di nuovo. Li ho emozionati ancora. Per la sessantacinquesima volta.

E questo, di sicuro, non è merito loro. Gli applausi sono per me.



Co

giovedì 2 luglio 2009

Heal the world

“Heal the world, make it a better place”…

Il suo posto migliore Michael l’ha creato, a suo modo ha salvato il mondo nella sua lunga carriera e nella sua breve vita…

Suoni, musica, danze, espressioni rimarranno indelebili per sempre nella memoria di tutti.

Cantante, cantautore, produttore, ballerino, coreografo, Michael è riuscito ad unire tutto ciò in un unico genere, come le 5 dita di una mano che viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda per raggiungere la perfezione del movimento.

Non si può pensare a Michael senza il suo “Moonwalk”, non si può pensare al grande King of the pop senza le sue interpretazioni vocali, i suoi video, il suo carisma.
E’ riuscito a diventare unico nel suo genere, ed è riuscito a costruirsi un’immagine non paragonabile con nessun altro grande della musica.
Ha creato un genere, l’ha fatto progredire e diventare culto, con gli sfarzi che l’epoca permetteva e oggi diventa simbolo di un’epoca difficile e modello artistico per la maggiore.
Ha avuto una vita difficile, non condivisibile per molti, ma che non può nascondere ed offuscare la grandezza del personaggio e quello che ha dato al mondo della musica e al mondo artistico in generale.

“quando il mio corpo sarà cenere, il mio nome sarà leggenda…” (Jim Morrison)
Michael ha sfiorato essere una leggenda già da vivo, con tutto quello che comporta l’esserlo da vivo, e ora più che mai può vivere nei cuori di tutti noi per sempre...con la sua musica, con le sue danze, con la sua grinta.
“Heal the world, make it a better place”… A tuo modo il mondo l’hai salvato, hai creato un posto migliore…ora tocca a noi portarlo avanti.
Grazie Michael



Cri

giovedì 25 giugno 2009

Contando le pecore...

Qualcosa mi ha portato in fretta ad avere gli occhi aperti da queste parti.
Il non ricordare la partenza e il non considerare l‘arrivo non condizionano i miei orizzonti, si limitano solo ad allucinarli.
Mi rigiro in cerca di una tregua che sento lontana. Angeli e demoni sono ancora troppo presi nelle loro lotte per sedere al tavolo di pace. Se presto orecchio sento il fragore dei colpi plasmare l’aria. I loro affondi sono veloci e creano distorte ombre intorno a me.
Per non parlare poi dei fantasmi. Il silenzio e il buio potranno dare sollievo al corpo, ma loro non sono sostanza, non devono riposare.
Sostenitori della sottile arte della persecuzione sin da quando la notte segue il giorno, per poi cancellarlo nel suo svilupparsi.
A me tocca rimanere fuori. In pausa. Statico in attesa di un verdetto insonne.
Tarderà di sicuro.
Per ogni debito ora sto pagando il mio clima isterico in questa notte che non avrà mai fine.

Bob

martedì 16 giugno 2009

Parole...

”Ci sono parole che non si possono animare, ma di cui l’anima ha bisogno di parlare”

Quello che sappiamo è l’uso e consumo.
Il loro è considerato abuso di circostanza.
Se non adempiono al loro incarico, quello di riempire gli spazi fino ai confini concettuali tracciati a priori, noi ne inventiamo di nuove, alcune fin troppo stravaganti o prive di radice e queste, inevitabilmente, vengono portate via dal vento.
Conosciamo persone che non possono fare altro che esploderle sui vagoni.
Altri le allineano su sottili fogli di legno e alcuni di loro le mettono in rima.
Intimidite e terrorizzanti per chi è con loro davanti ai fatti, perché questi ultimi sono di gran lunga più forti anche se le scagliate da un megafono.
Siamo bagnati dal loro calore se ci fermiamo in superficie, meglio evitare profonde e oscure apnee.

In questo tempo di crisi, quelle povere rimangono sempre le più convenienti.
Talune non risultano capite e la colpa a volte ricade sugli ambasciatori.
Quando non le troviamo andiamo dagli altri a cercarle.
Consapevoli che l’ultima non vuol sentir ragione.
Ognuno di noi ne conosce un paio in grado di aprire porte.
Chiunque di noi ne ha di silenziose nella mente e altre che valgono fomento per la causa.
Ci ritroviamo insoliti trovatori d’oro se loro nemmeno sussurrano.

Se dovessi usarne una per definirle, GIOCOSE sarebbe la parola giusta.

Bob

giovedì 11 giugno 2009

Solo un po' di stupido hip-hop

“… C’è una risposta dentro lo specchio
Un filo che è la continuazione di se stesso un nesso
Un occhio che guarda attraverso
Dal nucleo dentro l’atomo fino al perimetro dell’ universo …”





Bob

venerdì 5 giugno 2009

Pensieri di spettatori a teatro...

“La puzza della polvere mi sta dando la nausea. Siamo nel 2009, cavolo, c’è la televisione, il cinema, internet e lei mi ha trascinato qui, a teatro. Stasera c’era pure quel bel film in tv. L’ho visto già cento volte ma me lo rivedrei volentieri. Va bhe. Ormai sono qui. Appena si distrae, mi giro, chiudo gli occhi e mi addormento.”

“Avevo proprio voglia di venire qui stasera. Finalmente ho avuto l’occasione di mettere il visone nuovo. Che bello. Che poi io di ste cose non ci capisco mai niente di niente, nhe. Molto meglio quella fiction là, dove ci sono i poliziotti e tutte quelle robe lì. Ma almeno è una serata diversa. Si vede un po’ di gente. Oh dio, non conosco nessuno. Ma per forza non conosco nessuno, non mi porta mai da nessuna parte. Una sera c’è la partita, una sera c’è quel diavolo di film che ha già visto cento volte che lo sa a memoria anche il gatto.”

“Bello sto posto, eh, proprio bello. Sì, sì. Il loggione, gli affreschi sul soffitto, la galleria. Che poi cosa sarà sto loggione, bha. Comunque sono venuto solo per vedere quel comico che fa il cabaret in tv. Aaah, lui sì che è bravo. Ha sempre la sua battuta pronta. Sempre la stessa, ma va bhe. Ha il tormentone, ecco come si chiama. Quando non sa cosa dire, butta lì il suo tormentone e tutti ridono. Bravo, lui. Sì. Poi a me a teatro piace ridere. A teatro mi devo divertire, lascio fuori tutti i pensieri e mi godo lo spettacolo. Basta che non iniziano a cantare. Per carità io odio quando cantano nei film, figurati a teatro. Fatemi ridere.”

“Il teatro è la metafora della vita. L’attore abbandona sé stesso nel camerino per trascendere nei panni del personaggio. Poi se nel corso dell’opera avviene lo sdoppiamento allora l’attore incarna tre identità. L’attore in camerino, il personaggio e l’attore sul palco. L’attore che recita il suo ruolo di attore. E se interpreta il pensiero del pubblico l’attore è attore, personaggio, di nuovo attore e anche spettatore e poi di nuovo attore. E interpretando lo spettatore dovrebbe interpretare un pensiero comune da interpretare sul palco, ma come è possbile se gli spettatori non interpretano lo spettacolo allo stesso modo. Un momento…ma non era l’attore che interpretava? Comunque diventa meta teatro, in uno spettacolo che potrebbe essere metafisico. Il teatro nel teatro, la vita nel teatro, il teatro nell’anima e nell’animo…si va bhe. Lasciamo perdere.”

“Stavolta è fatta. Sì, sì l’ho impressionata. Sono andato a casa sua, lei è scesa e cosa le ho fatto trovare? Due biglietti per il teatro. Non il solito concerto, non la solita discoteca: il teatro. Ahahah. Ma quante ne so? Sì, sì, stasera me la dà sicuro. Speriamo però che sta roba duri poco, perché mi sto già rompendo. ”



Chissà in quanti, fra chi avrà letto questa ex-pagina bianca, si sarà immedesimato in qualcuno di questi spettatori possibili. Bene, voi che considerate il teatro solo un fatto di costume, sappiate che vi state precludendo un mondo. Se non sapete (ma molto più di frequente è che non lo volete) cogliere il messaggio che questo o quello spettacolo vi vuole lasciare, allora siete il frutto di un processo molto ben riuscito da parte dell’industria dell’intrattenimento anni 2000. Il teatro si nutre di idee e di parole, di messaggi che hanno bisogno di essere colti. Non vi libererete tanto facilmente del teatro: lui vi inseguirà ovunque, vi perseguiterà nella vostra vita quotidiana, sarà dietro l’angolo della strada e vi assalirà. Se invece vorrete ascoltare le parole di un povero attore sulla via del declino, o se vorrete assistere alla prova brillante di un giovane emergente, se vorrete ascoltare la storia che quello o quell’altro autore vuole raccontarvi, se vorrete lasciarvi trasportare in un altro mondo da scenografie e costumi, il teatro vi ringrazierà e quando gli attori sul palco, tra gli applausi, vi faranno il loro più bell’inchino, nelle vostre menti il teatro avrà già insinuato il tarlo di un’idea.

Co

domenica 31 maggio 2009

Filastrocche pessimiste II

Taglia la strada l'ombra di un lampione
E' come fermarsi sull'orlo di un burrone
ed ora come faccio?lo posso superare?
Tengo un cuore di cartone tra le mani,
e ho un cuore d'alluminio che brilla, come fossero due fari.
Ho una mongolfiera a forma di cuore per passare oltre il burrone
e passato il primo c'è il secondo lampione,
ed è tempo di ricominciare...
Miriam sulla macchina ci muore,
è caduta nel burrone,
perché qualcuno rubato le aveva
il cuore che volava!”

Ora voi direte....ma che è sta roba!
Provate a leggerla ad alta voce, cercate di rendere al meglio la punteggiatura,
datele un colore, cercate di viverla in prima persona...come se fosse una metafora della vostra vita
ed infatti è questo che è!
C'è chi ce la fa...cade e si rialza...
e chi è sensibile che a volte decide di non riprovarci più a saltare il “burrone”.
Questa filastrocca volerà sulle note della vostra voce...
Avrà il colore che voi avrete deciso di darle,
significherà per voi e per gli altri quello che avrete voluto esprimere.
Così con queste poche, piccole e povere parole
dette magari sommessamente, o strascicate soli davanti ad un pc
avrete provato una piccola esperienza teatrale.

Il teatro è fatto di parole, di musicalità, di corpi, di persone...
non c'è tecnica che tenga quando a parlare è l'anima!

Ma'

giovedì 28 maggio 2009

Nature morte filosofiche

Il provocatorio filosofo francese del postmoderno e del simulacro Jean Baudrillard ,scomparso nel 2007, ha voluto salutare il mondo guardandolo attraverso un obiettivo fotografico.
Scrive:”La fotografia è il nostro esorcismo. La società primitiva aveva le maschere, noi abbiamo le immagini fotografiche (…) L’evento più importante della storia moderna è l’assassinio della realtà. Internet ,la televisione, la pubblicità attraverso l’incantamento estetizzante delle loro immagini, hanno reso la comunità globale un’ immensa platea di spettatori.”



In mostra fino al 7 giugno a Reggio Emilia all’interno di Fotografia Europea
www.fotografiaeuropea.it
P.M.

mercoledì 20 maggio 2009

Filastrocche pessimiste


Cambio di scena
e tutto finisce in una sera,

scivola via in una goccia di vino,
che si scioglie in un sonno supino...
e gli angeli viola del mondo
che piangono sorridendo.

Un chiacchiericcio di musica sfatta,
assuefatta,

dolcissima, come stelline di zucchero bianco
e l'attore si gira su un fianco,
ormai è vecchio e stanco!

Ricorda di un neo sbarazzino
e di un sorriso di lacrime pieno,
sollievo e sospiro....

Una visione,
una goccia scivola via sulla fronte
e sulle sue impronte cammina altra gente.”

E' venuta l'ora di svelare un retroscena...

"L'uomo nero non è morto
ha gli artigli come un corvo
fa paura la sua voce/prendi subito la croce
apri gli occhi resta sveglia non dormire questa notte.."

E' così che inizia la filastrocca dei bambini del film “Nigthmare on the Elm street”,
molte altre filastrocche celebri e non cantano del buio, della notte,
dei pensieri e dei sogni che tormentano chi di dormire non ne vuole sapere.
Qui a non volerne sapere del sonno è un attore che “ormai è vecchio e stanco”.
I ricordi lo tormenteranno per molto tempo,
perchè la sua carriera è finita in una sera tra festeggiamenti e congratulazioni.
“Sulle sue impronte cammina altra gente” questo è il prologo del cambio scena...
l'attore è consapevole già prima calcare il palco per l'ultima volta che intriso in questo suo ultimo trionfo c'è già l'ombra di qualcun altro,
qualcuno che ripercorrerà le sue orme sulla scena, che reinventerà i suoi personaggi.
Il suo ricordo andrà perduto perchè è la commedia che rimarrà, l'attore è l'operaio,
mentre il personaggio è protagonista.
Questo è il contratto che tutti gli attori sanno di aver firmato...chi avrà il coraggio di firmare e sapere di venire dimenticato?

Ma'

giovedì 7 maggio 2009

The air is on fire

The air is on fire (trad. L’aria ha preso fuoco) è a tutt’oggi la mostra più importante mai consacrata all’opera di David Lynch.

Sin dai primi anni trascorsi all’accademia di belle arti di Filadelfia, David Lynch ha dedicato, senza sosta, una parte consistente della sua attività creativa alla pittura.

La mostra fu presentata per la prima volta a Parigi, dal 3 marzo al 27 maggio 2007 e poi (con mia somma sorpresa) a Milano dal 9 ottobre 2007 al 23 gennaio 2008.

La mostra riunisce tutte le forme espressive di un artista proteiforme che ha sempre perseguito, sin da piccolo, il desiderio di essere pittore.

Allestita e progettata dallo stesso Lynch, The air is on fire presenta un gran numero di opere realizzate tra il 1960 e oggi: quadri, fotografie e oltre 500 tra disegni e schizzi, conservati con cura, ma apparentemente senza rispettare nessun principio organizzativo.

Mentre i suoi primi cortometraggi sono proiettati in una piccola sala che sembra ispirarsi al film Eraserhead (1977), Lynch trasforma così un’idea in uno spazio nel quale un visitatore può entrare.

Ed è qui che voglio arrivare.

Guardando i dipinti e i disegni di Lynch, si ha l’impressione di entrare in un mondo in cui si è costantemente in pericolo. In un mondo di doppi di noi stessi. Ma malvagi. Una sorta di universo parallelo che ritroviamo anche nei suoi film.

Nei film di Lynch sembra che i protagonisti siano in procinto di perdere il controllo da un momento all’altro. Come se un certo controllo incosciente – se possiamo chiamarlo così – possa improvvisamente venire a mancare, liberando i demoni che vivono in noi.

Nei quadri e nei disegni di Lynch proviamo spesso questa sensazione e sovente ci sentiamo come liberati.

Per questo The air is on fire merita l’attenzione che si attribuirebbe ad un grande evento. Perché è la monografia definitiva dedicata a un artista tutt’ora attivissimo, ma anche metaforico manuale d’istruzioni sui progetti futuri di questo assoluto genio artistico.

La mostra ha il pregio, di farci conoscere un David Lynch inedito e dal talento poliedrico, soprattutto per noi italiani abituati a relegarlo a mero regista cinematografico.

Consiglio a tutti di recuperare qualche monografia sulle sue opere e di farsi catturare dai temi ricorrenti, dalle paure e delle inquietudini che popolano il suo grottesco mondo.


Letture consigliate:
Catalogo David Lynch, Fondation Cartier pour l’art contemporain.

Lynch On Lynch, Chris Rodley. Baldini & Castoldi

In acque profonde, David Lynch. Mondadori.

Dade

giovedì 30 aprile 2009

Tutta la polvere che vuoi...

Un andirivieni incessante, prendi una strada, che ti sembra quella giusta: hai tutto: eppure una voce, trasformata in leggerissimo pulviscolo, ti richiama da lontano. Hai tutto: stai bene così non cerchi nient’altro di quello che ogni giorno ti dà. Mi bruciano gli occhi, a volte lacrimano un po’; ma non mi interessa (so che è quel leggerissimo pulviscolo): la freschezza dell’avere tutto è sufficiente a continuare a battere il ritmo del respiro. Maledetta polvere! Si annida ovunque, la vedi come nebbia nei pensieri solitari del passaggio al sonno - e la continui a rinnegare. Poi, il risveglio porta una nuova opportunità: il ritmo del respiro non ha più gli stessi battiti di ieri, quello che posso fare oggi si è comunque svelato, nonostante io abbia rinchiuso finora quella voce in una gabbia di vetro trasparente. Magneticamente calamitata verso quello che qualcuno chiama ‘destino’, insomma: fino a quando resisterò ancora? Fino a quando mi basterà il mio avere tutto di oggi, se quella scatola trasparente mi fa vedere che posso avere tanto altro ancora di quello che ho sempre grandemente desiderato? O è solo un capriccio - che alla fine la vita è tutto un capriccio; ma quando assaggi la caramella per cui caragnavi, sei felice no?!


Manu


lunedì 27 aprile 2009

Le 5 curiose domande

A: “Parlami del tuo mondo…”
B: “Non so se ti piacerebbe…”
A: “Parlami del tuo mondo…ti prego…”
B: “Il mio mondo è strano, è difficile da capire, e se non mi capisci rischi di confondere anche il tuo mondo,
di non capire più chi sei, né quel che ti hanno insegnato fin’ora”
A: “Vorrei provarci…”
B: “Allora proviamoci…Nel mio mondo tutto risponde a 5 domande: Chi? Cosa?Quando? Dove e perchè? E sai perché? Perché così tutto è logico, tutto ha un senso…E se ci pensi ho ragione. Guarda…vedi quel signore fuori dalla finestra, sta aspettando qualcuno…se tu fossi me penseresti…chissà dove va…e con chi…e puoi star certo che se io adesso andassi da lui e gli ponessi queste due domande automaticamente lui risponderebbe alle altre 3…già lo sento: vado al bar a trovare i miei amici. Come tute le sere una partita a carte prima di andare a dormire…”
A: “E’ interessante…ma perché lo fai?”
B: “Vedi, stai già cominciando ad entrare nel mio mondo…Perché mi chiedi? Perché sono curioso…Sono così fin da piccolo…e tu sei curioso…?”
A: “Io non lo so…”
B: “Capisco, ma questo puoi deciderlo solo tu …La vita ti offre la possibilità!”
A: “La possibilità?”
B: “Sii…insomma la possibilità di scegliere come essere…Ognuno di noi è diverso sai? E’ questo che ci rende speciali…pensa che noia se fossimo tutti uguali…”
A: “Io posso scegliere…ma quando potrò scegliere?"
B: “Ah hai visto? Lo hai fatto ancora…vedi, le domande sono l’essenza delle risposte…Ora non ti è chiaro, ma hai già capito che per saper rispondere alla domanda di prima…hai avuto bisogno di chiedermi quando questo accadrà…”
A: “Hai ragione? Non è difficile…ma fanno tutti così?”
B: “No, non tutti…si tratta di scegliere…Io ho scelto di guardare quel signore e di farmi certe domande…Io ho scelto di provare a capire una storia, ma poi mi sono fermato…Chissà quante storie da raccontare ci sarebbero nella vita di quell’uomo…quante storie…”
A: “E tu hai raccontato tante storie? Ne hai vissute tante?”
B: “C’è una bella differenza sai?”
A: “Perché?”
B: sorride “Perché un conto è vivere le storie, un conto è raccontarle. Si ne ho vissute tante, ma di loro non ho mai scritto nulla, le conservo nella parte più segreta del mio cuore, io racconto quelle degli altri, e cerco di farlo meglio che posso…”
A: “Lo fai perché ti piace?”
B: “Sai cosa mi piace, mi piace aprire il giornale alla mattina e sentire quel profumo di carta stampata…Mi piace sapere che nel mondo qualcuno fa qualcosa quando io dormo e mi piace sapere che c’è qualcuno come me che vuole raccontarlo”
A: “E’ molto bello vero…”
B: “Si è molto bello…ma sai perché è così bello? Perché è mio…Fa parte di me, si sveglia con me le mattina, prende il caffè con me, viene con me al lavoro ed è qui che parla insieme a te adesso…”
A: “E’ qui?”
B: “Si è qui, ma tu non lo vedi…forse un giorno anche tu lo vedrai…”
A: “E come farò a vederlo…”
B: sorride ancora… “Sei già sulla buona strada…Dormi adesso è tardi…”
A: “Buonanotte papà…”
B: sussurra “Buonanotte mio piccolo giornalista…”

Alo

sabato 25 aprile 2009

La fuga

L’altra sera mi è capitato di rivedere, dopo molto tempo, Mediterraneo di Salvatores. Non voglio parlare del film in sè, è già stato detto tanto e sicuramente non sono la persona adatta ad aggiungere critiche.

Ma di questo film mi interessa un aspetto particolare. Prima dei titoli di testa, compare questa frase di Laborit: “in tempi come questi, la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare” e i crediti di coda sono seguiti da una dedica “a chi scappa”.

Ed è proprio questo ciò che vorrei indagare. Il fuggire è un po’ il fil rouge che lega i protagonisti di questo racconto, ma è anche ciò che porta le persone comuni a sperimentare altro rispetto alla propria esistenza.



La fuga può essere fisica, lo spostamento in un luogo altro, oppure può essere una fuga “creativa”.

Così, che sia con la fotografia, la scrittura, la regia o qualsiasi altra forma di espressione, c’è sempre qualcuno che cerca di fare un piccolo passo avanti nella comprensione del mondo.

Personalmente, non so se riesco in questo intento o meno.

So solo che ci provo.

E qui torna il discorso delle proprie origini: la mia origine è un click. E’ il rumore dell’otturatore che scatta e cattura un pezzo di vita come io la vedo. O come la immagino.

Per quanto sia un’immagine digitale, quindi più eterea dell’immagine fotografica in sè, analogicamente parlando, ciò che si forma davanti ai miei occhi, in uno schermo, è reale. E, paradossalmente, non è in contrasto con la dimensione immaginifica. Che quello che ho davanti ci sia veramente o sia una mia interpretazione, quindi sia immaginato, è comunque li. E allo stesso tempo fa si che io non sia più li.

La mia fuga consiste nel perdermi nel reale.

E sono convinta che, finchè ci saranno persone ancora capaci di fuggire, in qualsiasi modo e con qualunque mezzo, sarà ancora possibile vivere.

Elena

venerdì 24 aprile 2009

Tra William Shakespeare e Freddie Mercury

“L'uomo nel cui cuore la musica è senza eco, che non si commuove ad un bell'accordo di suoni, è capace di tutto, di ferire, di tradire di rubare. Non fidarti di lui, ascolta la musica”.

Shakespeare.

Emozione. La musica regala emozioni. Ogni singola nota all’interno di una canzone può provocare uno stato d’animo, una sensazione, uno stimolo, e forse per questo la mia vita è sempre stata accompagnata da canzoni, note, strumenti, e mi ha sempre aiutato a superare i momenti difficili e a rallegrare quelli già positivi.



Ricordo che frequentavo il primo o il secondo anno delle scuole medie, ai tempi era appena uscito il lettore cd, mio padre ne aveva uno e, settimanalmente, noleggiava cd in un negozio e li copiava su delle musicassette.

Fu proprio da una di queste copie che mi arrivò in mano questa cassetta, rimanendone

completamente folgorato.: “Live at wembley ‘86” dei Queen.

Così con il tempo iniziò a balenare l’idea di fare qualcosa.

Cantare mi faceva stare bene, mi rasserenava e quando cantavo sentivo di essere io e la musica, le persone che erano vicine svanivano in quei 4-5 minuti … eravamo solo la musica ed io!

Fu un escalation graduale logicamente, dapprima ogni tanto cantavo qualche canzone con mio padre, poi ho iniziato a cantare da solo saltuariamente, poi sempre più spesso, fino a che ogniqualvolta potevo cantare lo facevo.

Le debolezze, i dolori, i pensieri, gli stress della vita, tutto svanisce perché in quel momento la musica, la melodia, le note della canzone, si trasformano in un elisir di sensazioni che ti scorre all’interno come un fiume e che ti fa dimenticare di tutto, ti trasforma, e ti da la forza di continuare, di camminare, di correre verso la metà che ti sei prefissato, verso la tua vita.

Cri

mercoledì 22 aprile 2009

La casa che rende folli

“… è vero la pozione magica in questi casi non serve a niente,ma noi li batteremo con le loro stesse armi, sta a vedere”.
(Le dodici fatiche di Asterix)



Benvenuto,

In questa interminabile pagina bianca è racchiuso l’inizio del nostro percorso.

Leggerai fra gli scritti spunti di riflessioni, storielle per conciliare il sonno, presagi di scenari apocalittici o la lista della spesa di qualcuno di noi.

In questa interminabile pagina bianca troverai un metodo chiarificatore del nostro agire.

Prenderà vita l’insolitudine di chi sa di essere un Balordo che ,con sorriso di sfida. ha varcato la porta della “casa che rende folli” proponendo il suo lasciapassare A-39.

In questa interminabile pagina bianca spero sarai dei nostri.

Bob

domenica 19 aprile 2009

Sarò breve...

Quando mi è stato chiesto di scrivere un “pezzo” sulle origini mi sono perso.
Ho appoggiato il telefono e dopo un attimo di esitazione mi sono chiesto – “E adesso che ti inventi?”.
Ho acceso il computer ed avviato word. La pagina bianca.
Ho sempre odiato la pagina bianca, troppo violenta.
Incominci a farti domande.
Interesserà veramente a qualcuno quello che ho da dire? Quando ti fai di queste domande, parliamoci chiaro, vivi male.
Hai paura di sbagliare i congiuntivi.
Di ripeterti.
Il problema di tutti è di avere qualcosa di interessante da dire. Il problema di chi scrive è come dirlo.
Poi il lampo.
La pagina bianca è l’origine.
Pensateci un secondo. Da Kafka a Poe, da Ellis a Welsh la pagina bianca è filo conduttore. Un inizio.
Nasce tutto da lì.
Poi lo scrittore diventa interlocutore della sua pagina.
Persone con una concreta passione che trasmettono la loro esperienza e si ingegnano per dare futuro ad un progetto.
Gente appassionata. In lotta per sostenere il proprio meraviglioso mondo immaginario. Persone capaci di provocare emozioni .
Poi.
Poi ti viene in mente quando tu, per la prima volta, hai violentato quella pagina bianca. Lo sforzo immane che hai dovuto sostenere per trovare qualcosa di interessante o di mediamente decente da scrivere.
Da vomitare su quelle pagine.
E pensi se anche i grandi scrittori si siano mai trovati in situazioni simili.
Leggendo Addio alle armi mi innamorai della scrittura. Pensai che era inconcepibile che una persona, un essere umano come me, potesse scrivere una cosa tanto meravigliosa.
E ne volli sempre di più.
Finii per leggere ogni cosa mi capitava tra le mani.
Rimasi folgorato da quel mondo. Uno stuolo di individui e liberi pensatori in gara con se stessi e con la pagina bianca.
In corsa come treni, col rischio di deragliare inveendo contro la dittatura dell’ignoranza.
La dittatura dell’ignoranza contro la pagina bianca. Perché dopo l’origine deve necessariamente esserci una evoluzione.
Un’evoluzione continua, una ricerca assidua e pressoché infinita. Perché la pagina bianca è lì e ci sfida.
E voi che fate? Accettate la sfida?.
Dade

Succede che...

Succede che uno studente di Comunicazione all'ultimo anno debba decidere di affrontare
alcuni esami più "noiosi", come Marketing o Tecniche della comunicazione pubblicitaria,
oppure altri esami più "divertenti" come Storia del Teatro o Semiotica. Questa è la scelta
che è capitata a me. Così, un po' perchè credo di essere più portato per l'arte che per la
matematica e un po' per inettitudine, decido di iscrivermi al Corso di Storia del Teatro
contemporaneo. Davanti a me, un mondo nuovo.
Fino a quel giorno il teatro era, per me, lo stesso teatro che abbiamo nell'immaginario
collettivo: una sala, con tanti posti a sedere, un palcoscenico e i palchetti ad alveare attorno
alla platea. Fine.
Il caso ha voluto che quel corso di Storia del Teatro fosse un corso monografico su Tadeusz
Kantor e Jerzy Grotowski. Due registi polacchi che hanno rivoluzionato questa immagine del
teatro: Kantor ha portato il teatro fuori dai teatri e l'ha inserito in vecchi capannoni diroccati
e cantine, che acquisivano nelle sue piece una valenza scenografica, facendo sconfinare la
finzione nell'inferno della realtà; mentre Grotowsky ha esonerato il teatro dal confronto con
il cinema e gli ha ridisegnato un ruolo all'interno della contemporaneità.
Il fatto di non avere conoscenze approfondite su ciò che fosse il teatro prima di Kantor e
Grotowsky, mi ha permesso di assaporare meglio l'opera di due rivoluzionari, che hanno
voluto iniziare un nuovo capitolo del libro del Teatro, lasciandosi alle spalle tutto ciò che era
venuto prima, partendo, anche loro, da una pagina bianca.
Co

Legenda

Ecco or tosto un elenco atto a semplificare la comprensione del nostro fare.
Aver dimestichezza di una percezione che non si limiti ad un punto, ma che percorra le vie di “Flatlandia” con occhi da bambino e mente aperta come un paracadute.
Accorgersi che non si può far altro che dare libero arbitrio alla mente, per far smuovere la mano impugnante una matita e, che essa si farà efficace ambasciatore nel raccontare ciò che è l’ aldiqua.
Sapere che ogni uomo ha un “Idea fissa” e, per quanto uno ci provi, può tenerla alla larga per un po’, ma, prima o poi, sarà lui stesso a chiamarla per farsi divorare compiaciuto da essa.
Percepire e muoversi entro i propri limiti con la sensazione che senza azioni , essi, rimarranno statici in un tempo che è dinamico e in una dimensione che è come non mai plasmabile.
Apprendere di essere alla ricerca di un metodo e , avendo sconfitto la claustrofobia dei venti grammi e poco più che mi sono rimasti, possiamo solo continuare ad affinarlo per non aver “Sonno“ nel luogo comune.

Le nostre origini le puoi trovare sotto le tue suola, il nostro intento dentro queste letture e la nostra voce per la strada che percorri.

Vuoi giocare con noi?
Bob