mercoledì 26 dicembre 2012

Da sbarbato


Se fossi il mio passato, non avrei che confini chiusi in cui esplorarmi. Se fossi il mio futuro, non avrei materia in cui incarnarmi. Ecco perché cerco me stesso nel mio presente, trasformandomi nel tempo in cui scorrere.

Bob

martedì 25 dicembre 2012

Passo dopo passo

Impronte sul sentiero umano si susseguono, inseguendo per quella via sagome ed ombre. Osano gli eroi con elmo e spada  in difesa di chissà che castello. Persi, han trovato in sé stessi un  motivo per dire al nuovo giorno: io vivo.

Bob

domenica 23 dicembre 2012

Ritorno al futuro


Torno sui binari che, in gioventù, mi conducevano dalla stazione di Bressana a quella di Pavia.Il treno non è cambiato e sembra essere lo stesso con cui mi spostavo al tempo del liceo.
In questo viaggio, si ridisegnano paesaggi seppelliti nella mia mente dalle macerie del tempo ma che, in realtà, non hanno cambiato orizzonte e sembrano lì ad aspettarmi da chissà quanto ormai.
Il sole splende pallido all’imbrunire di questo dicembre, mi saluta dall’altro lato del finestrino, si gira e scompare, lasciandomi solo in un mondo che si è fatto grigio. E’ apparsa la nebbia che taglia di netto la terra, lasciando le trame nere degli alberi, a pochi metri dai binari, a marcare i confini del suo regno, in cui tutto è possibile e nulla è certo.
Lascio con il treno la terra e volo nel vuoto, sostenuto solo dai binari che continuano a scorrere tra treno e fiume per poi tornare a correre sulla terra.
Concedo gli ultimi chilometri di questo viaggio ai miei ricordi, riaprendo vecchi capitoli del passato, gli stessi che anche voi di tanto in tanto rileggete, e di cui, proprio come me ora,  avete imparato a sorriderne.

Bob

lunedì 22 ottobre 2012

Baratto


Il tempo chiede vita
scambiandola con ricordi
come di un racconto un rigo,
di una poesia un verso
e di un volto un sorriso.

Bob

giovedì 11 ottobre 2012

Torna a batter cassa


Il tempo chiede vita scambiandola con i ricordi come di un racconto un rigo, di una poesia un verso, di un libro un brano e di un volto un sorriso.

Bob 

venerdì 5 ottobre 2012

SIAMO COME (pt2)

Siamo come nuvole in cielo limpido, pronte a scatenare tempesta e divise dal semplice passare di un aereoplano.

Bob

mercoledì 3 ottobre 2012

Siamo come (pt1)

Siamo come mozziconi, trascorriamo la nostra vita ricordando come bruciavamo.

Bob

domenica 30 settembre 2012

Dal giorno alla notte

Mi addormento la notte con gli occhi di uomo e li riapro all'alba, guardando il mondo come farebbe un bambino.

Bob

venerdì 28 settembre 2012

Del doman non v'è certezza


Resto ostaggio dei miei ricordi mentre allineo libere parole con cui firmo il mio presente.

Bob

mercoledì 26 settembre 2012

Di che cosa dubito (pt2)


Dubito del cuore se cambia il suo pulsare. Respiro lentamente e, senza timore, resto ad ascoltare.

Bob

lunedì 24 settembre 2012

INTANTO A TAP TOWN

QUANDO IL LIVELLO SI ALZO’

Due impercettibili bagliori, provenienti dalla galleria, si avvicinavano alla banchina numero tre della fermata  della metropolitana nel quartiere del porto di Tap Town.  Ad aspettare quel treno vi erano Rupert e Frank.
Rupert e Frank si erano conosciuti come tutti i bambini, dando due calci a un pallone nel campetto sotto casa. Abitavano a non più di trecento metri l’uno dall’altro e questa vicinanza facilitò il loro conoscersi. Avevano la stessa età così frequentarono la medesima classe alle elementari, alle medie e scelsero la stessa scuola superiore per non dividersi. Frank vestiva sempre elegante. Giacca e cravatta erano diventate la sua divisa da quando lavorava per la banca centrale di Tap Town, tranne la sera e il week end quando poteva finalmente infilarsi un paio di jeans, una maglietta e una felpa col cappuccio. A Frank non piaceva l'abito che era costretto a usare a lavoro e quindi, piuttosto di farsi vedere per il quartiere in giacca e cravatta, girava sempre con uno zaino sulle spalle in cui teneva i “vestiti comodi” come li definiva lui e si cambiava nei bagni della stazione. Era un grande appassionato di musica rock e jazz, detestava i capelli lunghi, infatti, aveva sempre un taglio a spazzola che non superava i tre centimetri e se ne stava spesso zitto. Frank era poco più basso di Rupert, non che Rupert fosse un gigante, ma fra i due Rupert era più alto e non perdeva occasione di farlo notare a Frank. Rupert era robusto, con un orecchino al sopracciglio e uno al labbro inferiore. Testa rasata e, a differenza di Frank, non aveva nessuna divisa da vestire per guadagnarsi la pagnotta in quanto era disoccupato. Viveva nella casa di proprietà della sua ragazza, Erin, e racimolava i soldi facendo il baby-sitter o dando ripetizioni di disegno a qualche scapestrato come lui. Rupert era l’unico a sapere il vero lavoro di Frank e, come fa un vero amico, non lo aveva mai detto ad anima viva, tranne che a tutti i neonati di cui si occupava, s’intende. Rupert detestava cambiare i pannolini ai bambini e così, per alleviare quel faticoso e fastidioso impegno, raccontava a quei pargoli le avventure che lui e Frank combinavano  e, fra tutte, la storia sul lavoro che faceva Frank era quella che lo teneva più allegro fra quei fetori.
Frank e Rupert si trovavano sulla pensilina a pochi passi dalla linea gialla e davanti a loro, proprio nel mezzo del muro oltre i binari, l’orologio segnava le venti e trenta. Frank, ancora vestito da lavoro, stringeva nella mano sinistra una borsa della spesa e, l’aletta del suo cappello, schiacciato in testa, lo nascondeva dagli sguardi dei possibili conoscenti. Rupert, che portava un paio di pantaloni corti al ginocchio e una maglietta con il disegno di una città, continuava a far dondolare avanti e indietro un passeggino rosso e grigio.
 “Rupert, ci siamo”.
Attorno a loro vi erano sparuti gruppetti di ragazzi che aspettavano come loro il treno; alcuni uomini stanchi dalla giornata di lavoro e due donne che spettegolavano ad alta voce sull’ultimo gossip.
La musica in sottofondo fu interrotta per pochi istanti da una voce che avvisava i pendolari dell’arrivo del treno. Frank cominciò ad allontanarsi da Rupert dirigendosi verso la galleria da cui provenivano i fari del treno fino a collocarsi nell’angolo estremo della banchina.
 I due impercettibili bagliori, che prima s’intravedevano a mala pena nel buio della galleria alla sinistra dei due, divennero sempre più grandi fino a quando furono inutili poiché le luci artificiali della stazione illuminarono prima la locomotiva e poi tutto il treno che cominciava a rallentare la propria corsa. Frank sorrise in direzione di Rupert il quale, dopo aver risposto al sorriso con un gesto della testa, lanciò il passeggino sui binari. L’autista del treno vedendo la scena cominciò a schiacciare il pedale dei freni ma fu tutto inutile. Il passeggino fu distrutto dal treno e il bambino schizzò via come una palla di cannone. Le urla dei presenti smorzarono la monotonia delle pubblicità trasmesse dalla radio in sottofondo mentre il volto del macchinista divenne prima bianco per poi scoppiare in un pianto disperato. Tutti si fermarono per qualche istante. Le menti dei presenti erano pietrificate alla visione della scena e nessuno mosse un dito. Rupert, in quell’intervallo, ne approfittò per scappare, saltando sui binari, attraversandoli e imboccando l’uscita d’emergenza posta proprio sotto l’orologio che ora segnava le venti e trentuno.
Nel frattempo Frank, rimasto impassibile al gesto di Rupert, lasciò cadere per terra la borsa della spesa, ci frugò dentro ed estrasse una bomboletta spray di colore giallo, impugnandola con la mano destra, con cui cominciò a chiazzare uniformemente la facciata della metropolitana che si era fermata davanti a lui mentre con un’altra bomboletta di colore viola, stretta nella mano sinistra, tracciò i contorni delle lettere che formavano il nome della crew sua e di Rupert: Insoliti Balordi. Terminò il suo pezzo, gettò le bombolette sotto la metropolitana e, senza dare nell’occhio, salì le scale che lo riportarono alla luce della strada. Controllò l’orologio al suo polso che segnava le venti e trentaquattro e sparì fra la folla che accalcava la via.
Non si fecero vedere insieme per i successivi tre giorni e poi, arrivò sabato.
Si erano dati appuntamento alla loro panchina, la stessa che ascoltava i loro piani sin da quando erano piccoli. Rupert, come al solito, arrivò prima di Frank e si mise a sedere. Frank lo raggiunse con il suo consueto ritardo, con la musica nelle orecchie e la sua felpa col cappuccio. Portava un paio di occhiali da sole con le lenti rotonde e la montatura sottile e, sul suo volto vi era stampato il sorriso di chi sapeva quello che avevano combinato. Erano stati i primi a marchiare la metropolitana di Tap Town con il nome  della loro crew. Avevano portato il gioco a un livello superiore, lasciando gli altri writers fermi a un muro.
“Anche nel tardare sei dannatamente preciso. Non cambierai mai”.
“Bella Rupert, novità?”.
“Tutti parlano di noi, che cosa ti aspettavi?”.
“Già, ho beccato quelli della crew Thema che ancora non hanno capito come abbiamo fatto. Ora dobbiamo espanderci e controllare il territorio. Ho già un piano per la prossima mossa”.
“Però Frank, questa volta lo compri tu il bambolotto”.
Rupert e Frank risero a crepapelle e poi cominciarono a pianificare il loro prossimo pannello giù nella metropolitana di Tap Town.

La mappa di Tap Town

Bob

venerdì 21 settembre 2012

Tutto quello che ho

Ho quello che posso concedermi: un cielo, qualche nuvola e una manciata di gocce che di tanto in tanto bagnano la mia strada.

Bob

giovedì 20 settembre 2012

Di che cosa dubito (pt1)


Dubito della mente perché è un vasto impero dove anche il re in periferia si sente uno straniero.

Bob

venerdì 14 settembre 2012

Volere è potere


Volere è potere nel momento in cui credi
di conquistare allori su cui non ti ci siedi.
Fanculo ai potenti e banconote fatte dio,
gridi il tuo silenzio nella valle del brusio.
L'alba ha la sua guerra, nella notte scrivi
la storia di una vita o di due respiri.
Il potere vuole cuore e mente:
puro nel battere, intuisce chi mente.
Puoi essere potenza, il tuo divenire
oppure sotto cumuli di cenere sparire.
Devi essere per te il tuo cambiamento:
il filo d'erba che spacca questo cemento.
Voglio essere per te ciò che ti ho trasmesso,
quello che ripeto nello specchio al mio riflesso:
"Solo su quella panca da re tornerò a sedere
voglio ciò che sono finché avrò potere".

Bob

giovedì 13 settembre 2012

Senza argini

Per te possiedo un fiume impetuoso di parole ma che nessun foglio bianco riuscirebbe ad arginare con il loro scorrere passionale con cui ti descriverei .

Bob

domenica 9 settembre 2012

Cammino fra le stagioni


Il tempo è lo spazio in cui far scivolare e incastrare, limitare ed espandere, difendere e far primeggiare quell'infinito universo che risiede in me. Poi c’è il tempo dell’uomo fatto di ticchettii dal quadrante di un orologio, di sabbia che scivola sul vetro di una clessidra e di bastoni conficcati all’ombra della luce di un sole che cambia il suo modo di splendere ad ogni mia stagione.

Bob

giovedì 6 settembre 2012

Parole di tufo


Resto in silenzio seduto sul divano ad ascoltare la sua voce. Parlo del frigorifero che di tanto in tanto sembra prendi vita, del fischiettio che proviene dalle tubature del vecchio impianto termico e di quello strano rumore che mi perseguita e che solamente io sento. Questa voce racconta della mia casa e di chi ci ha soggiornato. Lo fa da prima che io arrivai e lo farà quando me ne sarò andato. Le dedico il mio silenzio per qualche minuto mentre fuori dalla finestra il mondo continua la sua storia.

Bob

lunedì 3 settembre 2012

Fatemi


Fatemi scrivere. Senza rileggere quello che ho digitato e senza pensare a quello che dovrò digitare. Voglio il presente, quello scandito da ogni lettera di ogni parola, blocco e frase. Fatemi scrivere per passatempo. È il meno costoso da che l’uomo ha inventato il denaro ma è anche il più dispendioso, perché ci sto spendendo la vita. Fatemi scrivere ancora un po’, non so cosa ne salterà fuori ma prometto esplosioni di qualche tipo. Ho acceso la miccia qualche rigo sopra quindi, fatemi scrivere.
Mi farei trasportare dalle parole come se fossero flutti e io mi trovassi seduto su una zattera. In questo mio mare nemmeno Nettuno potrebbe dire la sua. Eolo potrebbe soffiare quanto vuole, ma tutti i suoi venti insieme non varrebbero un solo mio sbuffare verso l’infinito. Correrei su questa pagina tanto velocemente che Bolt lo doppierei su qualsiasi distanza che Phelps si attaccherebbe ai miei piedi per starmi dietro che la tuta rossa di Flash gronderebbe di sudore e che voi arrivereste senza fiato a questo punto mentre io sarei già a capo ad attendervi.

Bob

venerdì 31 agosto 2012

SORRY DOCTOR BOB, BUT YOUR MOON IS IN ANOTHER CASTLE


Schivo la pioggia mentre gli ombrelli difendono l’asfalto e i tergicristalli marciano sui parabrezza delle autovetture. Apro il portone e salgo le scale. Libero i miei capelli da quel sottile reticolo d’acqua con cui le nubi hanno tentato d’imprigionare la mia testa.

Entro in casa.

Appoggio l’armamento e faccio il saluto al muro, comandante a cui faccio rapporto della mia missione quotidianamente. Gli confido di essermi preparato per questo inverno, di aver accumulato provviste e che, da questa notte, comincerò a crivellare le nubi per spianare il cielo al ritorno della luna.

Bob

domenica 19 agosto 2012

Pellicole colorate


Siedo sotto un albero secolare e mi ritrovo con vecchi amici. C’è il piccolo Doctor Bob intento a capire come indossare le sue calze bianche. È capace di allacciarsi le scarpe tutto da solo ma non pretendete che indossi i calzini nel verso giusto. C’è l’adolescente Doctor Bob, ha imparato a leggere e a scrivere; fa di calcolo e parla francese. Ha iniziato il liceo da poco. Sapete anche voi come sono quegli anni. Il giovane Doctor Bob, che cerca la sua strada fra le tante, passando da quelle asfaltate a quelle più dissestate. Dice di averne trovata una non ancora battuta, ma io non gli credo. Poi ci sono io, Doctor Bob. Guardo i miei compari d’ombra cercando di capire chi sono, sorridendo ad ogni loro aneddoto e tenendo solo per me la gravità dell’arco delle mie labbra.
Il numerino che stringo nella mano è lo stesso che la voce dell’altoparlante, appeso fra le fronde dell’albero, annuncia. E’ arrivato il mio turno. Mi alzo e mi dirigo verso il mio presente, lasciando alle mie spalle un prato di ricordi a cui ho donato nuovi colori proprio come fanno i giardini in fiore nei mesi di maggio. 

Bob

MADRIGALE

A Eumeo o Echione al mitologo dell'estorsione,
che l'Achille uccise d'emozione, l'immaginazione.
O Eretteo Eteocle che sfinge Temistocle, Iperione.
Giobbe, e Cristo e il Battista, che dei punk
hanno fatto rimodellazione, su teckno funk,
d'estroso canto plasmato in troppi fax.
Se leggessimo Flaubert e il sax di Milton Pax.
E Mastro Pulce, che di scarpe leva calce,
tutti bravi a menzionar, a far poesia da dimostrar.
Stanotte svengo nel dolore, in tema alla desolazione.
Aristarco non mentiva, Drustan si anarchizzava,
e del fondo di questo infame gioco, ci si sprezzava.
Or dissi, io con mio penno lungo e truce,
chi mi dice dov'é la luce? Chi s'inalbera in moda,
alla mia moda, di poetica slanciata, e bella a donna,
l'ho immaginata, di candor fuliggine e cospiratrice,
che del canto di tutti i poeti ne feci legge e pace.
Di guerre di sfondo, di snaturato mondo,
colsi e dolsi e a stento lessi, il non visto
del mio ringiovanendo. Di ruggito sano,
al volto di chi mi taglia la mano, su svista lesta,
di te che leggi o leggi il canto del mio manto.
Ho alzato il mondo con la Poesia e di questa moda,
ne farei altrettante lezioni e invenzioni,
considerazioni su Chagall e criticherei Modigliani,
o citerei Montale di sfuggita, sul passar dei cani
alla balaustra del dolore che la testa taglia al consumatore.
Che di Narciso fecer il Nonno di Panopoli;
chi disse a Ulisse del trono perso,
chi cantò alle Oceanidi il loro converso.
Io che silente, costruisco il mondo, rovescio
in pentola di Dio il mio conservato senso d'amore.
A te, spirito travolgente, inceneritrice di sintomi,
calunnia del povero, dilemma al poeta
che in man tien petalo per petalo, la sua meta.
Non giova, al Principe Melone il regno,
dei sordidi animali, carognosi e infami,
ladri di medulle, e inebriati di fame negra.
Eccelso ritrovo dei beni culturali,
sulla tristezza di Empedocle, o Giasone
che gli dei triniscono il canto di morte.
Stanotte, mi lancio deciso in e'l mortaio,
di fuliggini assetate, e decantate al paesaggio.

Balto

venerdì 10 agosto 2012

PAGINA E INCHIOSTRO

Questa è roba visionaria, pronto a partire?

Leggi o scarica gratuitamente, dal link qui sotto, la prima raccolta di Bob, l'Insolito Balordo.
Buona lettura

PAGINA E INCHIOSTRO

martedì 7 agosto 2012

QUANDO UN DISCO SMETTE DI SUONARE

Si spengono le luci di insegne e di edifici;
Tace la mia guerra ora dormono i nemici
Riposano le stelle dell’intero universo.
E il tempo fra noi adesso scorre all’inverso.

Mi cancelli, in questo mistico, ogni mio segno di stanchezza
Sulle cicatrici, leggera come carezza,
La tua mano sfoglia le mie rime senza voce
Giorni di fantasmi e da segno della croce.

La tua pelle vibra sotto i colpi dello spirito
Sa che il corpo è il limite e lui tende all’infinito.
Dimmi cosa posso ora al tuo ventre sussurrare,
Se non le sensazioni che mi sa evocare.

Suona come nota di spartito il tuo respiro
Di nuovo la tua pelle in cui mi ritiro,
Scrivendo come su un foglio il tuo pentagramma
mentre brucia sola nel buio questa nostra fiamma.

Bob

lunedì 30 luglio 2012

Gioco di ruolo

Questa metrica è priva del senso
di vivere, resistere e trovare consenso ...
http://soundcloud.com/quartogrado/quarto-grado-bob-feat-real-dun

Bob

giovedì 21 giugno 2012

Valigia pronta

Parto e me ne vado altrove, dove l'infinito nasce e il tempo non ha ore.

Bob

mercoledì 20 giugno 2012

Balordo narratore


GIACE NELLA TOMBA SUL PIAN

C’era una volta

Ricordi, eravamo solo di passaggio in quella cittadina. Mi avevi detto che ci servivano certi arnesi per il prossimo colpo e che, conoscevi un maniscalco che faceva a caso nostro in quella dannata Tap Town.
Io, mi diressi al saloon.
Il barista, alto poco più del bancone e rosso in volto, colpa del papillon che portava stretto al collo, non faceva domande di nessun tipo e si limitava a versare del whisky a ogni cenno della mia mano. I tavoli di quel saloon erano quasi tutti deserti, solo un paio si circondavano di alcune persone che giocavano a carte. Il pianoforte vicino alle scale era silenzioso e, visto lo strato di polvere appoggiatosi sopra, era da molto tempo che non suonava. Gli scalini della scala, posta vicino al pianoforte, salivano trasportati da una rampa e conducevano a una porta. Cosa ci fosse dietro, non l'ho mai saputo, ma lo immaginai.
Entrasti di colpo, stroncando la mia tranquillità.

La fuga

“Mi hanno riconosciuto, dobbiamo tagliare la corda”.
 La tua fama ti aveva preceduto insieme alla taglia sulla tua testa. Corremmo fuori dal saloon, ma era già troppo tardi. Sulla strada ad attenderci c'era lo sceriffo di Tap Town.
Era mezzogiorno e la polvere, alzata dalla strada da un vento caldo, non era molta, sicuramente meno di quella nel saloon.
Lo sceriffo mi guardava fisso negli occhi. Baffi bianchi e lunghi, un cappello con lo stemma della contea e la sua bocca che diceva di non muoversi e di posare le armi. Le mani impugnavano due pistole e le loro canne tenevano sotto controllo ogni nostro movimento.
Dalle finestre delle case, dall’altra parte della strada, si erano affacciati i curiosi. I più temerari di loro erano in piedi fuori dalle porte delle case. Ricordo tre uomini seduti fuori dalla drogheria. Uno di loro dondolava su una vecchia e termidata sedia a dondolo di legno fumando la sua pipa mentre gli altri due si scambiavano i pronostici sull’esito dello scontro. Davano per vincente lo sceriffo, aveva freddato più fuorilegge lui che indiani l’intera cavalleria. A un tratto, quello che dondolava, fermò la sedia e, continuando a fumare la sua pipa, disse:
“Non lo avete proprio riconosciuto. Guardate la paura negli occhi del nostro sceriffo, lui, a differenza vostra, l’ha riconosciuto”.
Sorrisi a tal affermazione. La campana rintoccò coprendo il rumore del mio colpo di pistola.
Quel giorno, se tu avessi ascoltato le storie su di me da quel vecchio, probabilmente avresti deciso di arrenderti allo sceriffo ma, complice la successiva fuga, ciò non accadde.

Confessioni di un lestofante

Sai, ci sono cose della mia vita che non ti ho mai raccontato, che non ho mai raccontato a nessuno. Ogni uomo ha i propri segreti da confessare solo in punto di morte. Sono i suoi assi nella manica per l’ultima partita a carte con la sorte. 
Parliamoci chiaro, era andata fin troppo bene fino a quel momento. Due lestofanti come noi non potevano non avere un cadavere sulla coscienza. Era solo questione di tempo.
Diligenze, banche, treni e qualche riccone erano state le vittime delle nostre rapine, avevamo un buon bottino e ormai eravamo arrivati alla cifra che avevamo concordato.
Da quel giorno a Tap Town, scappare divenne costoso, ma sapevamo anche che un giorno si sarebbero dimenticati di noi, così decidemmo di mettere da parte un po’ di tutto quell’oro guadagnato con il sudore negli anni. Stabilimmo una cifra, arrivati a quella, ci saremmo salutati e ognuno sarebbe andato per la sua strada.
Tu avresti finalmente aperto quel saloon vicino al fiume e avresti passato la vecchiaia facendoti amare dalle "tue donne". Non avevi un progetto ben definito, avevi più che altro l'idea di un luogo, dove mettere finalmente radici e questo, ti bastava.
Io, possedevo già una casa vicino al fiume e ad attendermi una moglie con i miei due figli. Sono molti tramonti che sono lontano dalla mia famiglia e di loro non ho più avuto notizie da quel giorno. Ho smarrito la via di casa ormai da molte lune. 

La storia si ripete

In questo momento, mi stai guardando, vero? Sei nascosto fra la folla con il tuo cappello nero schiacciato sulla testa, comprato a Chair Hill dopo la fuga di quel giorno, per non farti riconoscere e mi osservi in silenzio, lo fai sempre.
Dovresti essere lontano, gli accordi li conosci, ma tu non lo fai mai. A ogni nostro saluto, sali sul tuo cavallo e mi dici le solite parole:
“Ti aspetto a novanta chilometri. E’ stato un piacere battere queste strade con te. Non preoccuparti, le parlerò di te e le porterò la tua parte dei soldi”.
Quante volte ti ho sentito mentirmi, consapevole che saresti rimasto qui confondendoti fra la folla, proprio come in quest’occasione. Ci legano troppe vicende e poi, mi fa piacere saperti spettatore di questo momento. Sei uno in gamba se si tratta di scappare, quindi se dovesse andare male, so che hai una via di fuga già ben pianificata.

Prima del rintocco

Ci siamo solo noi due, ora.
Il sole è alto, niente polvere e due proiettili pronti a colpire due differenti bersagli. Si accalcano i ricordi dei miei altri conflitti a fuoco. Nel tempo, ho imparato a governare quest’ondata fatta d’impalpabili immagini. I pistoleri che ho ucciso, appaiono come fantasmi dai lati della strada e, incuranti di morire nuovamente, si sistemano alle spalle del mio nuovo avversario, ogni volta sempre più numerosi. Non hanno in volto la vendetta e nel sangue odio, hanno un viso sereno. Dicono che le anime di chi hai ucciso, ti accompagnano per la vita aspettando la tua morte  poiché, solo la mano che le ha freddate può condurle all’inferno. Che io sia davvero colpevole di questa carovana di dimenticati?  Dalla vita ho capito che non sempre una taglia coincide con l’autentico valore di un uomo. Dalla morte, imparerò forse a perdonarmi.
Un ultimo pensiero va a te, padre, che mi hai iniziato a quest’assurdo gioco.
Mi sembra di sentire ancora la tua voce.  La clessidra del tempo ha riempito con la sua sabbia decenni della mia vita, ma il ricordo di quel giorno non si è mai sbiadito.
"Se il tuo avversario trova un motivo per vivere, tu devi toglierlo, subito. E' in quel momento che devi sparare ".
Queste, furono le tue ultime parole. Le sussurrasti mentre la tua vista si annebbiava e il tuo costato sanguinava dal proiettile dello sceriffo di Tap Town, lo stesso morto per mano mia, con la vendetta sul volto e l’odio nel cuore.
Vince chi non ha nulla da perdere e loro, gli uomini che ho affrontato, sono arrivati al momento in cui si lasciavano dapprima scaldare il petto da un buon motivo per vivere, sciogliendosi in fine con il piombo caldo della mia sputafuoco. 
Purtroppo non sono io a fare le regole, io ho solamente accettato di giocare.
Sorrido e il rintocco di campana coprirà, forse per l'ultima volta, il frastuono della mia pistola.

Bob

sabato 16 giugno 2012

Da lassù, mi senti?

Resta al mio fianco. Se vuoi, stammi un passo indietro ma se tu scappi, io non ho forza per rincorrerti.
Peace.

Bob

mercoledì 13 giugno 2012

A questo punto, come sei messo?

Continuo a scorrere in rassegna i pensieri che mi sono stati concessi e, con lungimiranza, vivo la realtà vestendo l’abito del mio tempo. Con il sole, gioco a comprendere la mia ombra e affronto l’ignoto riconoscendo le priorità che l’animo mi richiede. Su questo pianeta, l’uomo s’interroga su quale sia il senso della vita mentre io, cerco risposte, chiedendomi se la mia esistenza ne abbia uno.

Bob

mercoledì 30 maggio 2012

Fermo immagine


Lascio tempo e maschera nel cassetto insieme ai sogni. Districo le idee e lascio riposare le mie passioni. In questa notte, solo tu puoi cambiare della mia vita la rotta.

Bob

martedì 22 maggio 2012

Da noi è normale

Ci sono parole nascoste in noi, elementi celati negli angoli invisibili dell’anima, fondamenta per la logica umana. Sono passeggere solitarie sul treno della vita, narratrici di trame sgualcite come il vecchio tessuto su cui sono scritte.

Bob

domenica 20 maggio 2012

Liberi tutti


Gli incontri sono liberamente guidati dai destini, gli scontri sono il libero arbitrio degli uomini.

Bob

martedì 15 maggio 2012

Respiro

Inspiro ciò che mi definisce lega per il mondo per poi espirarlo, semplificandomi in me stesso e nel silenzio, sistemo il sorriso.

Bob

domenica 13 maggio 2012

In me

C’è un mondo fuori che talvolta non so vivere e uno in me, che non smette di farmi sorridere.
Bob

domenica 29 aprile 2012

L'olmo di nonno Mario

Il cielo di questo tramonto è una tavolozza di colori caldi: rossi, gialli e arancioni si uniscono all’azzurro, sfumando di viola il terso orizzonte della giornata. Indicando un albero, mio nonno mi racconta, celando i ricordi nei brevi silenzi che separano le sue parole, la storia di quella pianta.
"Lo vedi quell'olmo, ogni inverno, sembra che cada in un letargo apparentemente eterno poi, arriva la primavera a destarlo dal sonno, sfiorando il suo tronco e attirando i germogli dai rami con la luce del sole. Le sue estati sono vive e le sue fronde si fanno riparo per i nidi e per gli uccelli di passaggio. E’ stato piantato il giorno della mia nascita, sai. Il tempo prova ad abbatterlo ma lui, in barba agli anni che passano, non molla un colpo".

Bob

venerdì 27 aprile 2012

Qualcosa non va, stamattina mi sento bene

Guardo il cielo bianco che si sfuma di azzurro e sorrido mentre assaporo questi istanti di pace mattutina, sorseggiando una tazza di the dalla finestra di casa. Oggi, la mia strada inizia con un tratto di sole e la città m'ispira semplicità. Saluto pensieri e conflitti, stando attento a non svegliarli, ed esco.

Bob

giovedì 19 aprile 2012

L'UNICA MEDICINA

Non lasciare che qualcuno t’influenzi, sarebbe sciocco ammalarsi.

Bob