Mi addormento la notte con gli occhi di uomo e li riapro all'alba, guardando il mondo come farebbe un bambino.
Bob
domenica 30 settembre 2012
venerdì 28 settembre 2012
Del doman non v'è certezza
Resto ostaggio dei miei ricordi mentre allineo libere parole con cui firmo il mio presente.
Bob
mercoledì 26 settembre 2012
Di che cosa dubito (pt2)
Dubito del cuore se cambia il suo pulsare. Respiro lentamente e, senza timore, resto ad ascoltare.
Bob
lunedì 24 settembre 2012
INTANTO A TAP TOWN
QUANDO IL LIVELLO SI ALZO’
Due impercettibili bagliori, provenienti dalla galleria, si
avvicinavano alla banchina numero tre della fermata della metropolitana nel quartiere del porto di
Tap Town. Ad aspettare quel treno vi
erano Rupert e Frank.
Rupert e Frank si erano conosciuti come tutti i bambini,
dando due calci a un pallone nel campetto sotto casa. Abitavano a non più di
trecento metri l’uno dall’altro e questa vicinanza facilitò il loro conoscersi.
Avevano la stessa età così frequentarono la medesima classe alle elementari,
alle medie e scelsero la stessa scuola superiore per non dividersi. Frank
vestiva sempre elegante. Giacca e cravatta erano diventate la sua divisa da
quando lavorava per la banca centrale di Tap Town, tranne la sera e il week end
quando poteva finalmente infilarsi un paio di jeans, una maglietta e una felpa
col cappuccio. A Frank non piaceva l'abito che era costretto a usare a lavoro e
quindi, piuttosto di farsi vedere per il quartiere in giacca e cravatta, girava
sempre con uno zaino sulle spalle in cui teneva i “vestiti comodi” come li
definiva lui e si cambiava nei bagni della stazione. Era un grande appassionato
di musica rock e jazz, detestava i capelli lunghi, infatti, aveva sempre un
taglio a spazzola che non superava i tre centimetri e se ne stava spesso zitto.
Frank era poco più basso di Rupert, non che Rupert fosse un gigante, ma fra i
due Rupert era più alto e non perdeva occasione di farlo notare a Frank. Rupert
era robusto, con un orecchino al sopracciglio e uno al labbro inferiore. Testa
rasata e, a differenza di Frank, non aveva nessuna divisa da vestire per
guadagnarsi la pagnotta in quanto era disoccupato. Viveva nella casa di
proprietà della sua ragazza, Erin, e racimolava i soldi facendo il baby-sitter
o dando ripetizioni di disegno a qualche scapestrato come lui. Rupert era
l’unico a sapere il vero lavoro di Frank e, come fa un vero amico, non lo aveva
mai detto ad anima viva, tranne che a tutti i neonati di cui si occupava,
s’intende. Rupert detestava cambiare i pannolini ai bambini e così, per
alleviare quel faticoso e fastidioso impegno, raccontava a quei pargoli le
avventure che lui e Frank combinavano e,
fra tutte, la storia sul lavoro che faceva Frank era quella che lo teneva più
allegro fra quei fetori.
Frank e Rupert si trovavano sulla pensilina a pochi passi
dalla linea gialla e davanti a loro, proprio nel mezzo del muro oltre i binari,
l’orologio segnava le venti e trenta. Frank, ancora vestito da lavoro,
stringeva nella mano sinistra una borsa della spesa e, l’aletta del suo
cappello, schiacciato in testa, lo nascondeva dagli sguardi dei possibili conoscenti.
Rupert, che portava un paio di pantaloni corti al ginocchio e una maglietta con
il disegno di una città, continuava a far dondolare avanti e indietro un
passeggino rosso e grigio.
“Rupert, ci siamo”.
Attorno a loro vi erano sparuti gruppetti di ragazzi che
aspettavano come loro il treno; alcuni uomini stanchi dalla giornata di lavoro
e due donne che spettegolavano ad alta voce sull’ultimo gossip.
La musica in sottofondo fu interrotta per pochi istanti da
una voce che avvisava i pendolari dell’arrivo del treno. Frank cominciò ad
allontanarsi da Rupert dirigendosi verso la galleria da cui provenivano i fari
del treno fino a collocarsi nell’angolo estremo della banchina.
I due impercettibili
bagliori, che prima s’intravedevano a mala pena nel buio della galleria alla
sinistra dei due, divennero sempre più grandi fino a quando furono inutili
poiché le luci artificiali della stazione illuminarono prima la locomotiva e
poi tutto il treno che cominciava a rallentare la propria corsa. Frank sorrise
in direzione di Rupert il quale, dopo aver risposto al sorriso con un gesto
della testa, lanciò il passeggino sui binari. L’autista del treno vedendo la
scena cominciò a schiacciare il pedale dei freni ma fu tutto inutile. Il
passeggino fu distrutto dal treno e il bambino schizzò via come una palla di
cannone. Le urla dei presenti smorzarono la monotonia delle pubblicità trasmesse
dalla radio in sottofondo mentre il volto del macchinista divenne prima bianco
per poi scoppiare in un pianto disperato. Tutti si fermarono per qualche
istante. Le menti dei presenti erano pietrificate alla visione della scena e
nessuno mosse un dito. Rupert, in quell’intervallo, ne approfittò per scappare,
saltando sui binari, attraversandoli e imboccando l’uscita d’emergenza posta
proprio sotto l’orologio che ora segnava le venti e trentuno.
Nel frattempo Frank, rimasto impassibile al gesto di Rupert,
lasciò cadere per terra la borsa della spesa, ci frugò dentro ed estrasse una
bomboletta spray di colore giallo, impugnandola con la mano destra, con cui
cominciò a chiazzare uniformemente la facciata della metropolitana che si era
fermata davanti a lui mentre con un’altra bomboletta di colore viola, stretta
nella mano sinistra, tracciò i contorni delle lettere che formavano il nome
della crew sua e di Rupert: Insoliti Balordi. Terminò il suo pezzo, gettò le
bombolette sotto la metropolitana e, senza dare nell’occhio, salì le scale che
lo riportarono alla luce della strada. Controllò l’orologio al suo polso che
segnava le venti e trentaquattro e sparì fra la folla che accalcava la via.
Non si fecero vedere insieme per i successivi tre giorni e
poi, arrivò sabato.
Si erano dati appuntamento alla loro panchina, la stessa che
ascoltava i loro piani sin da quando erano piccoli. Rupert, come al solito,
arrivò prima di Frank e si mise a sedere. Frank lo raggiunse con il suo
consueto ritardo, con la musica nelle orecchie e la sua felpa col cappuccio.
Portava un paio di occhiali da sole con le lenti rotonde e la montatura sottile
e, sul suo volto vi era stampato il sorriso di chi sapeva quello che avevano
combinato. Erano stati i primi a marchiare la metropolitana di Tap Town con il
nome della loro crew. Avevano portato il
gioco a un livello superiore, lasciando gli altri writers fermi a un muro.
“Anche nel tardare sei dannatamente preciso. Non cambierai
mai”.
“Bella Rupert, novità?”.
“Tutti parlano di noi, che cosa ti aspettavi?”.
“Già, ho beccato quelli della crew Thema che ancora non
hanno capito come abbiamo fatto. Ora dobbiamo espanderci e controllare il
territorio. Ho già un piano per la prossima mossa”.
“Però Frank, questa volta lo compri tu il bambolotto”.
Rupert e Frank risero a crepapelle e poi cominciarono a pianificare
il loro prossimo pannello giù nella metropolitana di Tap Town.
La mappa di Tap Town
La mappa di Tap Town
Bob
venerdì 21 settembre 2012
Tutto quello che ho
Ho quello che posso concedermi: un cielo, qualche nuvola e una manciata di gocce che di tanto in tanto bagnano la mia strada.
Bob
Bob
giovedì 20 settembre 2012
Di che cosa dubito (pt1)
Dubito della mente perché è un vasto impero dove anche il re in periferia si sente uno straniero.
Bob
venerdì 14 settembre 2012
Volere è potere
Volere è potere nel momento in cui credi
di conquistare allori su cui non ti ci siedi.
Fanculo ai potenti e banconote fatte dio,
gridi il tuo silenzio nella valle del brusio.
L'alba ha la sua guerra, nella notte scrivi
la storia di una vita o di due respiri.
Il potere vuole cuore e mente:
puro nel battere, intuisce chi mente.
Puoi essere potenza, il tuo divenire
oppure sotto cumuli di cenere sparire.
Devi essere per te il tuo cambiamento:
il filo d'erba che spacca questo cemento.
Voglio essere per te ciò che ti ho trasmesso,
quello che ripeto nello specchio al mio riflesso:
"Solo su quella panca da re tornerò a sedere
voglio ciò che sono finché avrò potere".
di conquistare allori su cui non ti ci siedi.
Fanculo ai potenti e banconote fatte dio,
gridi il tuo silenzio nella valle del brusio.
L'alba ha la sua guerra, nella notte scrivi
la storia di una vita o di due respiri.
Il potere vuole cuore e mente:
puro nel battere, intuisce chi mente.
Puoi essere potenza, il tuo divenire
oppure sotto cumuli di cenere sparire.
Devi essere per te il tuo cambiamento:
il filo d'erba che spacca questo cemento.
Voglio essere per te ciò che ti ho trasmesso,
quello che ripeto nello specchio al mio riflesso:
"Solo su quella panca da re tornerò a sedere
voglio ciò che sono finché avrò potere".
Bob
giovedì 13 settembre 2012
Senza argini
Per te possiedo un fiume impetuoso di parole ma che nessun foglio bianco riuscirebbe ad arginare con il loro scorrere passionale con cui ti descriverei .
Bob
Bob
domenica 9 settembre 2012
Cammino fra le stagioni
Il tempo è lo spazio in cui far scivolare e incastrare, limitare ed espandere, difendere e far primeggiare quell'infinito universo che risiede in me. Poi c’è il tempo dell’uomo fatto di ticchettii dal quadrante di un orologio, di sabbia che scivola sul vetro di una clessidra e di bastoni conficcati all’ombra della luce di un sole che cambia il suo modo di splendere ad ogni mia stagione.
Bob
giovedì 6 settembre 2012
Parole di tufo
Resto in silenzio seduto sul divano ad ascoltare la sua voce. Parlo del frigorifero che di tanto in tanto sembra prendi vita,
del fischiettio che proviene dalle tubature del vecchio impianto termico e di
quello strano rumore che mi perseguita e che solamente io sento. Questa voce racconta della mia casa e di chi ci ha soggiornato. Lo fa da prima che io arrivai e lo farà quando me ne sarò andato. Le dedico il mio silenzio per qualche minuto mentre fuori dalla finestra il mondo continua la sua storia.
Bob
lunedì 3 settembre 2012
Fatemi
Fatemi scrivere. Senza rileggere quello che ho digitato e
senza pensare a quello che dovrò digitare. Voglio il presente, quello scandito
da ogni lettera di ogni parola, blocco e frase. Fatemi scrivere per
passatempo. È il meno costoso da che l’uomo ha inventato il denaro ma è anche
il più dispendioso, perché ci sto spendendo la vita. Fatemi scrivere ancora un po’,
non so cosa ne salterà fuori ma prometto esplosioni di qualche tipo. Ho acceso
la miccia qualche rigo sopra quindi, fatemi scrivere.
Mi farei trasportare dalle parole come se fossero flutti e io
mi trovassi seduto su una zattera. In questo mio mare nemmeno Nettuno potrebbe
dire la sua. Eolo potrebbe soffiare quanto vuole, ma tutti i suoi venti insieme
non varrebbero un solo mio sbuffare verso l’infinito. Correrei su questa pagina
tanto velocemente che Bolt lo doppierei su qualsiasi distanza che Phelps si
attaccherebbe ai miei piedi per starmi dietro che la tuta rossa di Flash
gronderebbe di sudore e che voi arrivereste senza fiato a questo punto mentre
io sarei già a capo ad attendervi.
Bob
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