giovedì 29 ottobre 2009

8.30 DI MATTINA


Devono essere le otto e mezzo di mattina e, se non mi sbaglio, oggi è martedì.
Si, martedì, due giorni fa erano le undici, ieri le otto e mezzo, oggi le otto e mezzo, non essendo stato informato sul cambiamento dei giorni della settimana, posso dire con certezza che oggi è martedì.
Detesto il primo sguardo che mi lancia appena mi vede.
Anche ieri sera, lunedì secondo i miei calcoli, ha fatto le ore piccole.
Mi guarda fisso per qualche secondo, poi si mette a trafficare nelle mie vicinanze e torna ai suoi sogni.
Lui finge di cadere in un sonno pesante, ma so che il suo orecchio rimane teso verso la realtà storica che gli appartiene.
Alcune volte, tira fuori un coraggio da leoni nel gettarsi a capofitto sul gregge di pecore anche dopo le otto e mezzo e, dopo aver contato i cadaveri degli ovini, si ritrova a giustificare i ritardi ai nostri appuntamenti.
Io, a differenza sua, sono stata addestrata a non avvicinarmi troppo alle pecore che passano nelle mie vicinanze dopo le otto e mezzo di mattina e così continuo a sentire il gallo che canta dai miei altoparlanti.
Avete presente quanto possa essere stressante?!
Lui si sveglia, mi ripunta e si riaddormenta. Io, Sveglia!
Una cosa mi rincuora però, sapere di essere scagionata da ogni sua accusa nelle cause contro i suoi ritardi.
Lui dichiara sempre di non aver sentito suonare la sveglia, ma in realtà sono io che, ogni tanto, comincio a contare le pecore e proprio come lui mi riaddormento.
Bob e R.

martedì 27 ottobre 2009

TANTI CARI SALUTI

“E adesso, questo qui, da me, cosa vorrà?
Fidatevi, cari signori, che luccicla mia razza, quando vi guarda dal sotto in su, con questi nostri occhi luccianti di affetto e fiducia, vuole qualcosa da voi. Qualcosa di ben preciso. Una risposta, cazzo.
Cosa credete? Che solo perché non abbiamo avuto dono della parola non proviamo emozioni, noi? Sentimenti? Che per noi essere al servizio di Berlusconi o dell’ultimo dei vice- aiuto – pulitore di cessi, sia la stessa cosa? Non proviamo empatia, nei confronti dei nostri padroni?! Quando loro sono senza soldi, anche noi siamo senza soldi. Anche noi dobbiamo mangiare! Non ce l’abbiamo forse anche noi, dio santo, un’anima?!
Sì, ce l’abbiamo, cari miei. E vi amiamo. Nel nostro modo silenzioso, discreto. Vi guardiamo dal basso, seduti composti, aspettando una carezza, un regalino.
E adesso, dov’è il mio VERO padrone?! Dio solo sa quanto l’amo.. E questo qui chi è? Come mi tratterà? Il mio padrone sì, che ci sapeva fare con me.. a me piace essere coccolato.. accarezzato di continuo, e come adoravo quel suo tipico senso di ansia, che indovinavo nel suo sguardo quando mi piantava gli occhi addosso, tanto penetrante che sembrava voler esplorare a fondo gli scompartimenti e le pieghe del mio più profondo io.
Mi piaceva quando mi procuravo qualche graffio, e che male, quando capita, perchè passava i polpastrelli lungo le mie cicatrici, notavo il suo dispiacere per il mio dolore. E sentire il contatto caldo dei suoi polpastrelli sulla mia pelle nuda mi regalava sempre un brivido caldo di sicurezza e fiducia.
E adesso questo qui. Mi ha trovato, ero perso, e ora dipendo da lui.
Ma ce l’avevano detto, all’Accademia: un padrone non è mai per sempre. Si invecchia, purtroppo. E anche se il nostro padrone ci ama, alla fine qualche suo parente alla moda gli regala quello che ci sostituirà. E alla fine lui sceglierà l’altro, e noi varremo meno di zero. Oppure ci perdiamo di vista, lo perdiamo, o ci perde lui. Un attimo di distrazione e.. zac! Andato, perso. E anche se ci cerca dappertutto, non è detto – anzi, quasi mai è detto, che ci trovi. Manifesti per strada, stazioni di polizia, spesso è tutto inutile. Il mio padrone mi starà cercando adesso. Ma io lo so che non mi troverà, adesso sono nelle mani di quest’altro tizio, adesso sono suo.
Chissà come sono le mani di questo nuovo padrone. Chissà com’è il suo conto in banca. Io ormai ho i miei anni, le mie cicatrici..
E poi? Che si aspetta che faccia? Che gli regali centinaia di euro? Un bancomat con allegato il codice per il prelievo? Ah! Avrà una magra sorpresa, signor mio! Solo una carta d’identità ingiallita posso dargli. La vuole un’altra identità? Anche se non è granchè in realtà. Ma io l’amo, quell’identità. Anche con la crisi che c’è in giro.. anche se avevo la pancia sempre vuota, ero orgoglioso di stare attaccato ai pantaloni del mio padrone. Ok, è uno spiantato. Non vedevo mai una banconota. Ma le sue tasche calde, d’inverno mi facevano comodo. Riportatemi da lui!
Si dice che quando si sta male bisogna pensare a chi è meno fortunato. Per risollevarsi il morale, credo. Voglio, perciò, raccontarvi un episodio, a cui ripenso quando sono giù.
All’Accademia, impariamo a essere in gamba, come servire l’uomo, la donna, o i bambini: ci si specializza in un ramo specifico, siamo nel ventunesimo secolo, bisogna essere preparati. Però, può sempre capitare qualche sorpresa, come al mio amico Paco. Lui, nato, fatto e finito per servire una donna, lui, donnaiolo professionista. VAl negozio, invece, lo scelse un uomo. Vestito bene, con una camminata creativa e uno strano modo di muovere le mani. Paco non si è opposto al suo nuovo padrone, sembrava ricco, ecchediavolo. Adesso, però, Paco è tutto un tintinnare di ninnoli, treccine colorate, e non è molto contento. Povero Paco. Ogni portafogli ha la sua dignità. Ma all’Accademia ce l’avevano spiegato per bene questa cosa. Si chiama flessibilità.

Paradiso

giovedì 22 ottobre 2009

COME QUANDO FUORI PIOVE





Forse non dovresti essere qui ora.
Forse ci sono fatti che si stanno svolgendo e che non aspettano altro di avere te fra le loro azioni, se consideri la vita come un film, o fra gli atti se è il teatro a personificarti.
Forse delle persone ti stanno aspettando e si chiedono cosa ti trattenga dal raggiungerle, potrebbero preoccuparsi o essere sollevate dal tuo tardare, queste ultime, in realtà, forse, sono anche speranzose nel fatto che tu non arrivi a destinazione.
Forse, ora che sei arrivato qui con la lettura, sta passando la tua occasione proprio sotto casa.
Non sentirti al sicuro tu che hai la tecnologia per leggere ovunque tu voglia, sei comunque distratto, la tua attenzione è su di uno schermo, e alza gli occhi, quella è la tua chance che se ne sta andando.
Forse vorresti almeno leggere di una storia avvincente che ti porti in un solo respiro alla fine del testo, in modo da poter rincorrere quella occasione che ormai ha svoltato l’angolo, che vuoi farci, è così che deve andare.
Forse vorresti trovare fra queste righe dei personaggi da immaginare, ma oggi è grigio il cielo.
Non centrano lo smog e l inquinamento in generale, oggi è uno di quei giorni in cui l azzurro non ha altro che un impermeabile grigio da indossare.
Sa che le nuvole non tarderanno a far piovere, lui si è vestito e ora è pronto a farsi scivolare, fra le pieghe del suo abito plumbeo, le gocce di pioggia che arriveranno stanche sul cammino di quella occasione che ti dicevo prima, proprio quella che ti ho costretto a mancare per poco.
Forse, il cielo ci protegge da un acquazzone!
O ci nasconde uno splendido e raggiante sole?
Non lo so, tu hai qualche idea?
Io non ho avuto altro balenamento che trascorrere il tempo scrivendo dei forse che, probabilmente, hanno dato una risposta a quel senso di fumosa certezza che si prova in questi giorni, dove il cielo deve sbrigare i suoi affari e tu lo vedi passare vestito del suo impermeabile grigio.
Bob

giovedì 15 ottobre 2009

L'ISPIRAZIONE


Vi ho sfinito. Ce l ho fatta!
Non vedete come vi ho ridotto nel tempo, avanti anche un bambino capirebbe che siete quasi allo stremo delle forze.
Tu, vecchia scrittrice, non hai più forze. Sei esile, scippata dalla tua linfa vitale intenta a scrivere quella storia che forse leggeranno o che forse scarteranno. Probabilmente non hai nemmeno in mente dove ti porterò e a quali conclusioni trarrai prima dell’ ultimo punto sull’ ultimo foglio.
A proposito, un pezzo di carta straccia buono solo a far da tovaglia in una dozzinale paninoteca. Proprio su di essa avete deciso di esaurire le vostre ultime cartucce.
Sapete benissimo che io sono ancora qui, vi sto parlando e vi sto ispirando la vostra prossima fine.
Anche tu penna, hai finito di scrivere. Il tuo inchiostro è all’ultima goccia.
Spera di farti trascinare pesantemente dalla mano della tua compagna fino al punto in cui dovrei condurvi, sarebbe un dispiacere perdervi proprio ora.

Bob e SincroStyle

domenica 11 ottobre 2009

CIAO NANDA!

Questo Paese va perdendo tutte le sue migliori personalità, culturalmente parlando.
Le sta perdendo tutte, una per una, e non sembra per nulla interessato a garantire “un ricambio”.
Anche se un po’ tardivo, il ricordo mi sembra comunque doveroso.
Quest’estate, il 18 agosto, l’Italia ha perso anche Fernanda Pivano. Un nome che forse non dirà niente ai più, ma sappiate che è grazie a lei se in Italia sono arrivati i testi di autori come Hemingway, Kerouac, Corso, Ginsber, Lee Masters. Ha importato la Beat Generation.
E’ stata lei a tradurre quei testi dall’inglese all’italiano, in un periodo in cui quei testi in Italia erano proibiti.
Giornalista, scrittrice, traduttrice, critico musicale. Riferimento culturale per tutta una generazione.
Dalla sua traduzione della “Spoon River Anthology” Fabrizio De Andrè ha tratto il disco “Non al denaro, non all’amore né al cielo”.
Nel giorno della sua morte, sul suo sito ufficiale, appare una sua frase molto significativa di come Nanda abbia deciso di vivere la sua vita:
Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perchè ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue.

http://www.libri-universitari.it/autori/fernandapivano.jpg

“…e con la vita avrebbe ancora giocato…”

Co

domenica 4 ottobre 2009

RIEMERGO

Riemergo, e sono in un angolo nella sala riscaldata, con la tempia appoggiata al freddo del vetro alla mia sinistra. Al tavolo davanti al mio, due signori discutono su quanto zucchero versare nei loro espresso, mentre mangiano aringhe affumicate attraverso i lunghi baffi. È mattina presto, con l’aria assonnata, famiglie affaccendate tra i tavoli del bar, adattano al menu offerto le proprie abitudini in fatto di colazione.
Sono seduto con la mia tazza di caffè in mano. Scotta a tal punto che devo appoggiarla sulla breve mensola dell’enorme finestrino della nave. La borsa di eco-pelle verde, appoggiata sul tessuto blu della poltrona accanto alla mia, crea un interessante miscuglio cromatico che sa di mare. Penso che più si sale verso nord, più la gente è convinta che ciò che non è sul punto di bollire, è quasi freddo.
Guardo fuori continuamente: mi sforzo di trovare, a pochi metri da me, qualche increspatura sulle piccole onde, testimonianza di un acquatico sociale che voglia giocare con noi, seguire la scia che lasciamo. La voglia di caffè e soprattutto la necessità di caffeina mi spingono a controllare ancora la temperatura della tazza di plastica: decisamente troppo caldo ancora, e che palle..
Allora mi tuffo, attraverso il finestrino, vestito come sono, a tutta velocità come un razzo, spezzando in due la superficie dell’acqua, interrompendo il moto perpetuo delle onde.
Voci ovattate da su mi ricordano che sono uomo e non pesce, forse qualcuno sta urlando: “uomo in mare!”, come nei film, ma in una lingua che non conosco. Oppure la distanza è già troppa, e le parole semplicemente mi suonano indistinguibili. Come l’immagine della prima automobile davanti a me, quando, immerso nella nebbia densa come latte, torno a casa, la sera.
Man mano che scendo, il mio mondo fluido diventa più scuro e cambia tonalità, dal blu al verde, ma i contorni delle cose si snebbiano e si stabilizzano, mentre i miei occhi si abituano all’oscurità e il respiro si fa regolare e calmo.
Zitto zitto, nascondendomi da quelli più grossi, piano piano mi avvicino ai pesci più piccoli. Colorati di giallo e rosso, nuotano a stretto contatto fisico tra loro, in questi branchi enormi. È una immensa parete colorata in movimento e io non riesco a pensare a nient’altro. Entro nella parete e faccio numero, nuoto con loro. Come se fossi un altro di questi minuscoli pesci fantastici, ma appena più goffo e lento.
Vedo me stesso per come sono e mi guardo dall’esterno. Suono per me una canzone, nella mia testa, non una melodia nota, ma mia, e per me, adesso e ora. Una cosa tipo pink floyd o lamb, tranquilla e a tratti soffice, ma con un agrodolce dato da un poco di elettronica, e sotto un lungo brano appena psichedelico che ritorna, ciclico.
Ma prima di dimenticarmi devo prenderla.
Cerco a tentoni nella borsa, e afferro ciò che cerco. Ho gli occhi chiusi, ma immagino che la mia piccola pillola rossa starebbe proprio bene in mezzo ai pesciolini. Cromaticamente parlando, s’intende.
Per mandarla giù bevo un sorso dalla tazza, adesso sono tranquillo. Ma mi brucio la lingua e le mie branchie ritornano polmoni.

Paradiso