domenica 4 ottobre 2009

RIEMERGO

Riemergo, e sono in un angolo nella sala riscaldata, con la tempia appoggiata al freddo del vetro alla mia sinistra. Al tavolo davanti al mio, due signori discutono su quanto zucchero versare nei loro espresso, mentre mangiano aringhe affumicate attraverso i lunghi baffi. È mattina presto, con l’aria assonnata, famiglie affaccendate tra i tavoli del bar, adattano al menu offerto le proprie abitudini in fatto di colazione.
Sono seduto con la mia tazza di caffè in mano. Scotta a tal punto che devo appoggiarla sulla breve mensola dell’enorme finestrino della nave. La borsa di eco-pelle verde, appoggiata sul tessuto blu della poltrona accanto alla mia, crea un interessante miscuglio cromatico che sa di mare. Penso che più si sale verso nord, più la gente è convinta che ciò che non è sul punto di bollire, è quasi freddo.
Guardo fuori continuamente: mi sforzo di trovare, a pochi metri da me, qualche increspatura sulle piccole onde, testimonianza di un acquatico sociale che voglia giocare con noi, seguire la scia che lasciamo. La voglia di caffè e soprattutto la necessità di caffeina mi spingono a controllare ancora la temperatura della tazza di plastica: decisamente troppo caldo ancora, e che palle..
Allora mi tuffo, attraverso il finestrino, vestito come sono, a tutta velocità come un razzo, spezzando in due la superficie dell’acqua, interrompendo il moto perpetuo delle onde.
Voci ovattate da su mi ricordano che sono uomo e non pesce, forse qualcuno sta urlando: “uomo in mare!”, come nei film, ma in una lingua che non conosco. Oppure la distanza è già troppa, e le parole semplicemente mi suonano indistinguibili. Come l’immagine della prima automobile davanti a me, quando, immerso nella nebbia densa come latte, torno a casa, la sera.
Man mano che scendo, il mio mondo fluido diventa più scuro e cambia tonalità, dal blu al verde, ma i contorni delle cose si snebbiano e si stabilizzano, mentre i miei occhi si abituano all’oscurità e il respiro si fa regolare e calmo.
Zitto zitto, nascondendomi da quelli più grossi, piano piano mi avvicino ai pesci più piccoli. Colorati di giallo e rosso, nuotano a stretto contatto fisico tra loro, in questi branchi enormi. È una immensa parete colorata in movimento e io non riesco a pensare a nient’altro. Entro nella parete e faccio numero, nuoto con loro. Come se fossi un altro di questi minuscoli pesci fantastici, ma appena più goffo e lento.
Vedo me stesso per come sono e mi guardo dall’esterno. Suono per me una canzone, nella mia testa, non una melodia nota, ma mia, e per me, adesso e ora. Una cosa tipo pink floyd o lamb, tranquilla e a tratti soffice, ma con un agrodolce dato da un poco di elettronica, e sotto un lungo brano appena psichedelico che ritorna, ciclico.
Ma prima di dimenticarmi devo prenderla.
Cerco a tentoni nella borsa, e afferro ciò che cerco. Ho gli occhi chiusi, ma immagino che la mia piccola pillola rossa starebbe proprio bene in mezzo ai pesciolini. Cromaticamente parlando, s’intende.
Per mandarla giù bevo un sorso dalla tazza, adesso sono tranquillo. Ma mi brucio la lingua e le mie branchie ritornano polmoni.

Paradiso

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