venerdì 20 novembre 2009

Piazza Udine


Era un marciapiede che sorreggeva i suoi passi da 25 anni a questa parte. Nelle mattine nebbiose d’autunno, nelle sere calde d’estate, con la pioggia e con la neve. Era la sua porta d’ingresso verso la routine ogni mattina, era la strada del ritorno a casa di sera, quando tornava dalla sua famiglia.

Mario era soltanto un uomo, in mezzo ad altri uomini. Altri uomini diversi da lui. Loro erano silenziosi, chiusi nei loro giubbotti, maleducati e scontrosi. Quel tipo di uomini che se passando ti danno una spallata, non chiedono neanche scusa.

Ogni mattina ed ogni sera, su quel marciapiede, Mario si sentiva solo. Solo in mezzo a quella marea di gente. E’ difficile sentirsi soli a Milano. C’è sempre un passante, un commerciante che chiude la serranda, il thailandese all’angolo che vende occhiali da sole, una signora in macchina che fa suonare inutilmente il suo clacson.

Lui cavalcava il suo marciapiede, conoscendo a memoria ogni vetrina: “Il panettiere, il fiorista, la pasticceria, l’ufficio legale…”. Bastava un sottile soffio dei pensieri per fargli interrompere quella conta e cambiare l’immagine nella sua mente. E mentre si faceva largo tra manager che parlavano di affari inutili, senegalesi che vendevano cd, mentre si faceva largo tra facce che si fanno brutte e pugni stretti nelle tasche, lui ripassava ancora a memoria la sua trafila di pensieri.

Una mattina come le altre, con la nebbia sulla strada e nei pensieri, Mario faceva la sua solita strada e contava a memoria “Il panettiere, il fiorista, la pasticceria, l’ufficio legale…”. Proprio lì, davanti alla portineria dell’ufficio legale gli si fa incontro un anziano signore, avvolto in una sciarpa marrone e con un cappello che gli stava scivolando goffamente dietro la nuca. Mario si apprestava a schivarlo come aveva ormai imparato a fare con milioni di altri passanti, quando notò che l’anziano lo stava fissando, quasi scrutando. Quegli occhi piccoli, incastonati nelle palpebre rugose, lo facevano sentire a disagio. Mario si fermò.

All’improvviso sul volto dell’anziano si dipinse un sorriso. Mario non capiva, ma quel sorriso migliorò il suo senso di imbarazzo, che si tramutò in curiosità. “Lei lo parla il dialetto milanese?” gli chiese l’anziano signore. “Ehm..sì..” rispose Mario incerto. Il sorriso del signore anziano si tramutò presto in entusiasmo e gli disse: “Non le porterò via molto del suo tempo, ma ascolti la poesia che voglio raccontarle”. Mario lo guardò divertito: “D’accordo”. L’anziano incominciò:

“I penser dun omm de mèsa età vann ai temp indre ai temp andà.
El prim penser che me vègn in ment lè Milàn de alter temp,
due ghera no tropp de scialà, ma ghera tanta umanità.

Se pensi adèss a sta città, che ha cambià facia, e manera de pensà.
Vedi la gent trapelada, semper de cursa e preocupada,
caminà in sul marciape sensa el temp de giras indre.

Mèi pensà a Milàn de alter temp, cun pocc dane e poca frenesia,
ma cun tantu coeur e tanta puesia.”*

L’anziano fece un inchino per congedarsi dal suo ascoltatore e se ne andò. Mario rimase serio, la poesia era triste ma era vera. Sorrise all’anziano che si allontanava e riprese la sua strada.

Quella mattina Mario si sentiva avvolto da una luce diversa. Sorrise a tutti: alla cassiera del bar, alla portinaia dell’ufficio, ai colleghi. Spesso ricambiato, spesso no, ma questo non importava. Il bello dei sorrisi sta nel farli. Il bello delle poesie sta nel raccontarle.

Co

[* Franco Pasqualini, I mè penser]

1 commento:

  1. Tratto da una storia quasi vera... :)

    Mi mancherà anche la signora con il cane lupo rintontito!

    RispondiElimina