martedì 2 marzo 2010

Il viaggio (Capitolo I)

La cosa più normale che ti possa capitare se sei nato a Drexville è odiare Drexville.

Drexville è il genere di cittadina dalla quale già verso i sedici anni ti vorresti allontanare il più possibile. La classica cittadina di provincia, senza locali, senza cinema, senza niente. I cittadini di Drexville sono tutti contadinotti abbastanza ignoranti, che tengono mogli e figlie sottochiave e i figli a lavorare nei campi già dai nove anni. Ti insegnano a rispettare il sindaco, il pastore, lo sceriffo e la signorina Mhuller, un’anziana tedesca che probabilmente era arruolata nelle SS ed era fuggita qui negli USA alla fine della guerra, adesso sbarcava il lunario facendo la maestra elementare.

Uno spirito libero non può vivere a Drexville. Infatti, era il 1962 quando decisi di fare la valigia, buttarla sulla mia Ford Galaxie e di partire verso Ovest.

I miei genitori approvavano la mia scelta. Quella di andarmene da quel posto. La mia famiglia era di orignie irlandese, ma loro non sono praticamente mai usciti da Drexville in tutta la loro vita. Mio padre mi diceva spesso che uno dei suoi più grossi rimpianti era quello di non avere abbastanza soldi per mandarmi a studiare in un’altra città. Odiava Drexville più di qualunque altra cosa al mondo, eppure si sentiva fortemente legato a quella fogna. Sentiva di avere un ruolo. Il suo ruolo era migliorare Drexville e la sua gentaglia. Io mi chiedevo chi o cosa glielo facesse fare. Allo stesso tempo sia lui che mia madre volevano proteggermi e allontanarmi da quel posto.

La sera prima della partenza ero andato a casa di Vincent. Volevo salutarlo prima della mia partenza. Vince era il classico amico “che non chiede mai perché”. Quando gli dissi che stavo lasciando Drexville, non mi chiese perché. Mi disse semplicemente “Accendi quella fottuta macchina e andiamo a scolarci due birre”. Una volta al pub ci venne un attacco di nostalgia e iniziamo a snocciolare ricordi su ricordi, come due anziani. Le birre da due, diventarono quattro e poi sei. Così ci ritrovammo mezzi sbronzi, abbracciati l’uno all’altro.

“Greg O’Malley, fottuto irlandese del cazzo, non azzardarti a tornare in questo buco di merda”, mi sussurrò Vince in un orecchio.
“Farò del mio meglio”, promisi io.

Il 23 gennaio 1962 lasciai Drexville e partii verso la California. Sarei tornato a casa 6 anni dopo.

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